Il giorno della "Festa della Donna" arriva una brutta notizia, di quelle che ti tolgono il fiato, in una mattina già primaverile sul Lago Maggiore. E' mancata, dopo una breve malattia affrontata con coraggio, Claudine Ottin-Pecchio in Viérin, moglie di Dino e madre di Laurent e Nicolas. Sapevo, purtroppo, che le cose non stavano andando bene, perché sulla sua salute chiedevo notizie ai suoi familiari, miei amici da tanti anni e lo si capiva del peggioramento anche da un commosso post, nelle scorse ore, dello stesso Laurent, che aveva scritto: "Il dolore... Quando vedi soffrire qualcuno che ami e che è parte di te, il dolore che provi non si può descrivere e non ha eguali... Ti senti impotente, dilaniato e annientato da profonde sensazioni di lacerazione... Tutto diventa relativo ed emergono in te, o forse vengono solo riscoperti, i veri valori della vita, che spesso i ritmi frenetici della società in cui viviamo ci fanno purtroppo dimenticare. Vorresti poter fare qualcosa... Vorresti fare di più... Vorresti aver fatto di più... Ma soprattutto vorresti poter alleviare il dolore di chi soffre... prendendo su di te ciò che fa soffrire chi ami...». Capisco e condivido come certi passaggi della vita siano terribili e dolorosi e a poco valgono le parole consolatorie di fronte al lutto e alla mancanza.
Avevo conosciuto Claudine, allora trentenne, quando iniziai a fare il giornalista. Era una giovane donna piena di verve e sempre con il sorriso. Poi negli anni successivi, specie dopo il mio impegno politico, ho avuto modo di conoscerla meglio, e mi dispensò consigli sempre utili, specie quando cominciai a parlare in pubblico e avevo la preoccupazione di sbagliare qualcosa nel nostro francese valdostano se confrontato al suo francese perfetto. Ma lei era sempre incoraggiante e positiva con la sua vitalità solare. Nel lavoro era una dura, che cercava nel "Bureau de la Langue Française" di far marciare tutto, specie nei rapporti con il mondo dell'Émigration valdôtaine nella regia dei diversi incontri, in particolare quello estivo e quello parigino. Ma ricordo anche la sua attenzione per certi testi in francese, particolarmente delicati, in cui metteva tutte le sue conoscenze alla ricerca delle "tournures" più adatte. Nel privato - penso proprio a momenti conviviali - ricorderò certe serate simpatiche in cui Claudine mostrava la sua cultura e anche la battuta pronta, quando era necessario per mettere i puntini sulle "i". So che in questi ultimi anni aveva riscoperto la Fede, che le è stata di conforto nel confronto con quella maledetta malattia, che è una gara ad ostacoli di cui mai si capiscono bene né i passaggi né l'epilogo. Qualche tempo fa, il mio amico Eddy Ottoz mi ricordò in un'intervista di quel piccolo mondo antico che fu il Piccolo San Bernardo, prima che il tunnel del Monte Bianco ne sancisse il ridimensionamento nel percorso verso la Francia. Claudine, giovane savoiarda a pochi chilometri dal passo, conobbe lassù il giovane Dino di Jovençan e galeotto fu quell'incontro d'amore. Così Claudine, valdostana d'adozione, divenne una delle ambasciatrici della Valle d'Aosta di cui aveva appreso ogni particolare anche minuto. Oggi la ricordo con affetto, pensando al dolore dei suoi cari che faccio mio. Per lei varrà una bella frase di Victor Hugo: "Les morts sont des invisibles, mais non des absents".