Il caso delle dimissioni del ministro Maurizio Lupi dimostra come ci sia qualcosa che continua a non funzionare nel meccanismo di raccordo fra informazione e istituzioni. Nelle istituzioni politiche la vicenda è stata gestita malissimo: in sostanza per parecchio tempo, considerata la velocità dei media di oggi, il tema è stato un continuo ping pong di retroscena. Da una parte le notizie di fonte giudiziaria, comprese le intercettazioni, che filtrano con un contagocce che può essere inquietante secondo l'uso che ne viene fatto ed apre scenari di necessaria chiarezza su come le cose debbano uscire dalle Procure; dall'altra le risposte - ma sempre dietro le quinte - del ministro interessato e soprattutto di Matteo Renzi. Il premier ha alcuni giornalisti che servono per far filtrare le notizie da palazzo Chigi attraverso la formula di indiscrezioni, ma spesso con dichiarazioni così certe da essere persino virgolettate, oppure sgancia le informazioni senza filtri attraverso l'uso di "Twitter". Queste tecniche finiscono, in sostanza, per avvilire il ruolo dei giornalisti, che dovrebbero avere informazioni chiare e certe, senza dover invece vivere di fonti riservate, di informazioni sussurrate e notizie che danno un'immagine distorta sin da subito.
Che sia chiaro che lo scavo nei fatti e negli avvenimenti è e resta una dote dei giornalisti, oltre l’ufficialità, ma il paradosso è quando manca l'ufficialità e tutto diventa ufficioso con il solito gioco - ne noto anche nella piccola Valle d’Aosta - dei giornalisti «che non capiscono» o accusati di distorcere le vicende, quando invece devono arrampicarsi sugli specchi per fare il loro mestiere. Ciliegina sulla torta, che fa capire come certi specchi siano deformanti della realtà, è la circostanza grottesca delle dimissioni che Lupi ha annunciato a "Porta a Porta" dal sempiterno Bruno Vespa, che ovviamente si frega le mani che il ministro abbia anticipato le dimissioni, che andrebbero annunciate in Parlamento, non in uno studio televisivo. Va bene che siamo nella società dell'informazione, ma sia chiaro che in certi casi la forma è sostanza, altrimenti diciamo una volta per tutte che i "talk show" (per altro in spaventoso calo di ascolti per l'inciviltà degli scontri) sono un agone politico alternativo alle assemblee previste dalla Costituzione. Non che questa svolta sia psichedelica, perché sicuramente i media moderni - compreso l'ingombrante Internet - pongono un problema serio attorno alla democrazia digitale ed i suoi sviluppi. E creano crescenti crisi di identità non solo alla politica ma anche ai giornalisti, che vagano alla ricerca di nuovi orizzonti di una professione sempre più liquida. Lo si vede in un caso concreto e quotidiano nel lavoro giornalistico. Pensate al rapporto fra uffici stampa e giornalisti: non è mai facile trovare il punto di equilibrio fra un flusso di informazioni forzatamente positive e buoniste e l'esigenza del giornalista di capire anche laddove le cose non vadano bene. Nel giornalismo anglosassone il pubblico deve essere disponibile e trasparente perché ogni ombra può essere amplificata se non si forniscono, a chi le richieda, le informazioni necessarie. Altrettanto interessante, nella cronaca nera quotidiana di una piccola Regione come la Valle d'Aosta, è capire dove e in che moda agisca l'equilibrio fra diritto all'informazione - nomi e cognomi compresi di chi delinque - e invece la necessaria privacy a tutela delle persone che pure sono protagonisti di malefatte. Sembra oggi questa scelta alla fonte e poi nella diffusione vera e propria oggetto di una grande capricciosità, che rende opache le decisioni assunte e sembra dividere il mondo in buoni o cattivi, secondo il vaglio della diffusione o meno dell’identità delle persone. Insomma. una grande confusione regna sotto il cielo, malgrado l'Italia sia il Paese degli Ordini professionali, delle leggi e dei regolamenti, delle caste e delle consorterie e via di questo passo. Vien da pensare - ma è tempo che lo sospetto - che proprio da questa voluta selva oscura emerga il caos, mentre la semplicità e la linearità non piacciono per i contorni che diverrebbero troppo definiti.