"Caro Luciano, Questa notte è morto Luigi Zanzi. Con Piero Giarda, a nome della Fondazione Monte Rosa, abbiamo pensato di fare un annuncio sul Corriere". Una mail che cominciava così mi ha, ieri mattina, come fulminato, mentre passeggiavo tra La Magdeleine e Chamois, per via di questa capacità dei telefonini a irrompere nella nostra vita in qualunque momento. Mi sono fermato emozionato a guardare le montagne ed ho pensato al mio amico Luigi, classe 1938, con il suo inconfondibile sorriso e il suo eloquio forbito con un accento che tradiva le origine varesotte, che certamente starà guardando le sue amate Alpi da una di quelle grosse nuvole vaporose trascinate dal vento sopra di me. Ci sono persone che quando scompaiono ti fa fanno sentire più solo e la mancanza di un loro ingegno è una perdita per tutti.
Una telefonata ad Enrico Rizzi, autore della posta elettronica, che condivideva con Zanzi in particolare lo studio dei walser e del Monte Rosa, aggiungeva che la morte era sopravvenuta per un cancro al polmone, che aveva combattuto con coraggio e senza piegarsi alle circostanze. Purtroppo la nostra fragilità fisica è terribile. E, come spesso capita ormai con questa malattia che spegne d'improvviso le persone, mi è venuto il magone di non aver saputo della malattia. Non molto tempo fa, avevo ricevuto un suo enorme volume su Nicolò Machiavelli di cui era specialista (pensando quanto fosse di attualità, visto che oggi il potere politico è incarnato da un fiorentino), accompagnato da un biglietto di saluto. Mentre l'ultima volta che lo avevo visto era stato ad Alagna Valsesia, in una giornata di brutto tempo, dove il consiglio della "Fondazione Monte Rosa" era stato, come sempre, esaurita in fretta l'ordinaria amministrazione, occasione per chiacchiere piacevoli - in cui Zanzi era mattatore - su tutto quanto ci accomunava. Il terreno fertile aveva almeno due filoni, che avevano cementato la nostra ventennale amicizia: i problemi della montagna e delle Alpi, il federalismo in chiave europea. Luigi Zanzi praticava la professione di avvocato, principalmente in materia civile ed era docente universitario di Teoria della storia, facendo parte di plurime Accademie e Centri studi. Ma era soprattutto un'enciclopedia vivente, una sorta di intellettuale illuminista dei giorni nostri, come dimostrato da libri e pubblicazioni. Il suo impegno politico si era radicato fin dal 1964 nella militanza, con Altiero Spinelli, per il Movimento Europeo, di cui era stato a lungo membro del Comitato centrale. Era stato assessore alla programmazione economica presso il Comune di Varese come indipendente. A me piaceva parlare con lui proprio perché venivano fuori discussioni infinite sul federalismo e la speranza che le Autonomie alpine potessero vivere e prosperare in un'Europa davvero federalista e imbevuta di sussidiarietà. Lui, che scriveva di Alpi e d'Europa con una profondità impressionante, seguiva certe mie battaglie politiche e mi spronava sempre a non demordere. Il suo esempio mi aveva convinto che ogni sfida in politica - per non essere generali senza truppe - si combatte sul fronte dell'approfondimento culturale e sulla qualità delle idee che alimentano l'azione politica concreta. Zanzi in questo era un pozzo di petrolio di pensieri e proposte e, pur lasciando tanti libri ed una visione piena di stimoli, ci mancherà tanto. Ricordo solo una sua frase riferita allo spessore millenario della storia alpina: «Le Alpi hanno proposto a molteplici uomini migranti in cerca di una propria sorte di civiltà una sfida "ambientale" che solo pochi popoli hanno saputo accettare come propria "scelta ambientale" facendosi montanari e facendo delle Alpi più volte un laboratorio di invenzione di una nuova società d'Europa». Oggi i popoli delle Alpi, da lui amati e studiati, devono mettere le loro bandiere a mezz'asta.