Sono stati scritti interi volumi sul perché Roma sia diventata la Capitale d'Italia. Si sa bene come la conclusione dell'operazione non sia stata semplice, ma rientrava nel solco - che non sembra aver portato fortuna - di una città simbolo per evidenti ragioni storiche. Se l'Italia avesse scelto il modello federale non saremmo qui a piangere sui vizi di Roma, perché con una sovranità diffusa tutto sarebbe stato annacquato. Invece l'attuale situazione politica spinge ulteriormente verso il centro ed il centralismo premia vizi e virtù della Capitale, di cui esiste ampio campionario e le vicende di "Mafia Capitale" sembrano essere solo la punta dell'iceberg.
Ma in un periodo in cui tutti criticano, anche con ragione, il regionalismo, con particolare predilezione per le Speciali ed acrimonia accesa verso i più piccoli (spara sulla Valle d'Aosta il solito Sergio Rizzo sul "Corriere della Sera"), chissà che un pochino di memoria non torni utile nel ricordare che certi scandali romani ruotano attorno alla Capitale. Partendo proprio dall'idea balzana di dare a Roma uno status giuridico particolare grazie addirittura ad una riforma costituzionale risalente al 2001, voluta dal centrosinistra, ma sponsorizzata anche dal centrodestra, specie quella parte ancora nostalgica verso la romanità del Ventennio. Dice il comma 3 dell'articolo 114: "Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento". Già che si sia dovuto scrivere in Costituzione, dopo tanti anni di servizio di Roma come Capitale, è uno spaccato della realtà: meglio dirlo, vista la scarsa affezione in un Paese dai mille campanili, che non vede certo in Roma quel che un francese vede in Parigi o un inglese in Londra. Ma il veleno è nella coda e cioè nella "specialità" rivendicata da Roma per avere in sostanza più denaro (anche se il bilancio resta in rosso profondissimo e tocca ogni tanto mettere mano al portafoglio per evitare il crack causato dal malgoverno) e più poteri. Si è visto ora come in gran parte è stato adoperato quanto previsto dalla legge attuativa in vigore ormai da cinque anni e che disegna un abito particolarmente generoso verso Roma. Chissà che non sia il caso di rifletterci sopra, dopo che si è scoperta la fogna di "Mafia Capitale" si scopre che certi cerchi di potere sono ormai come vampiri sul "renzismo". La prova del nove sta nel "cerchio magico" attorno al leader e la smania di accentrare potere su Palazzo Chigi, come si è fatto sul Campidoglio. Poi, in una vera e propria "Commedia dell'Arte", tutti sono pronti a parlare di legalità, di lotta alla corruzione, di sdegno e dolore. Ma certe facce e certi giri sono sempre gli stessi, immutabili nel tempo e pressoché impuniti nel Paese che perdona e soprattutto dimentica. Ma ormai l'indignazione non basta più e la stessa ondata di antipolitica viene usata dai soliti noti per rafforzarsi con disegni che sanno di autoritarismo. Incombe poi su tutto quella massa enorme di non votanti che potrebbe sfogarsi chissà dove come lo sfiato di una pentola a pressione che rischia di scoppiare da un momento all'altro. Certo, anche su "Mafia Capitale" servirebbero tempi certi per la Giustizia, perché ogni trascinamento e ogni grado di giudizio troppo lunga permette che intervenga l'oblio e con esso la possibilità per chi delinque di tornare sulla scena, atteso il giusto periodo per spurgare il minimo indispensabile. Questa è la realtà di fronte alla quale ci si trova. Ignazio Marino, diventato sindaco di Roma per caso, si trova così come un Re Travicello, sorridente e pacioso, senza forse rendersi conto - speriamo almeno che sia così - che sembra ormai una figurina da presepe, senza arte né parte, in attesa che nuovi capitoli dell'inchiesta lo costringano alle già doverose dimissioni. Ma in Italia prendere tempo vuol dire sempre sperare di cavarsela, mettendo radici dove ci si trova o chiedendo una buonauscita per andarsene, quando invece dovrebbe essere solo un dovere morale.