E' interessante constatare come fra un mesetto si creerà una sorta di ingorgo di celebrazioni. Da una parte - lo ricordavo ieri - i centocinquant'anni dalla prima scalata del Cervino (da entrambi i versanti e forse sarebbe stato meglio riuscire a fare un calendario in comune), ma nelle stesse ore si ricordano anche i cinquant'anni dalla grande cerimonia ufficiale con cui venne inaugurato il Traforo del Monte Bianco. Era il 16 luglio 1965, quando il Presidente francese Charles De Gaulle e quello italiano Giuseppe Saragat (presidente della Regione era mio zio Séverin) tennero i loro discorsi ufficiali. Entrambi conoscevano bene la Valle d'Aosta, oggetto come noto di questioni politiche non indifferenti - di cui entrambi erano stati protagonisti a diverso titolo - appena vent'anni prima e Saragat in più frequentava la Valle per le sue vacanze.
Al momento della sua apertura, era il tunnel stradale più lungo al mondo (undici chilometri e seicento metri. Una galleria a doppia carreggiata collegava l'Alta Savoia e la Valle d'Aosta, definita da De Gaulle «cette belle Vallée, que le sang, la langue, le sentiment, apparentent de si près à la France», parole come macigni in quegli anni. Ricordo che, usando la "macchina del tempo" della Storia, circa 180 anni prima, nel 1787, due anni prima che in Francia scoppiasse la celebre Rivoluzione - il naturalista ginevrino Horace Bénédict de Saussure, dalla vetta del Monte Bianco profetizzò: «Un jour viendra où l'on creusera sous le Mont-Blanc une voie charretière et ces deux vallées, la Vallée de Chamonix et le Val d'Aoste, seront unies». Più o meno un secolo dopo si apre una finestra, chiusa in fretta, sull'ipotesi di una galleria ferroviaria, poi riaperta all'inizio del Novecento, su impulso del deputato valdostano Francesco Farinet. Nel 1907 il quotidiano torinese "La Stampa" pubblica in anteprima la notizia dell'imminente costruzione della galleria e nel 1908 l'ingegnere francese Arnold Monod illustra il suo progetto ad una delegazione di parlamentari italiani e francesi, sostenuti rispettivamente dai primi ministri Giovanni Giolitti e Georges Clémenceau, in visita ad Aosta. Dopo anni di silenzio, nel 1933 - ma siamo in pieno fascismo e dunque in clima non certo propizio, e poi arriva la Seconda guerra mondiale - il "Corriere della Sera" pubblica un lungo articolo a firma di Carlo Ciucci dal titolo "Un'idea che si avvia a diventare realtà. L'autostrada del Monte Bianco". Anche questo, se ben ci pensiamo, un titolo più che profetico. Nel secondo dopoguerra fu il conte Dino Lora Totino a capire l'importanza di un traforo e nel 1946 iniziò a scavare sul versante italiano a titolo di provocazione, mentre il deputato valdostano Paolo Alfonso Farinet, assieme ad altri politici della Valle, operava per la causa fra mille difficoltà. Bisogna arrivare al 1953 per avere la Convenzione tra l'Italia e la Francia per la realizzazione, finalmente, dell'opera, anche se la ratifica dei rispettivi Parlamenti spostò l'inizio lavori al 1959 e dunque, per pochi mesi, aprì prima il Traforo del Gran San Bernardo verso la Svizzera. Pagine della storia valdostana, incrociate in questo caso alla storia europea, che in quegli anni viveva l'entusiasmo del processo d'integrazione, che oggi appare purtroppo così distante. Il Traforo è sempre lì, diventato nel tempo simbolo di tante cose, specie dopo il terribile e luttuoso rogo del 1999, che mostrò come un tunnel costruito per il turismo fosse diventato il segno visibile delle contraddizioni del trasporto europeo basato sui camion (ed è così ancora oggi) e certe ipotesi - oggi francamente assurde - di raddoppio di questo tunnel stradale (tanti interessi agiscono in questo senso) non sono certo il miglior modo per ricordare i festeggiamenti di mezzo secolo fa.