La recente lettera enciclica di Papa Francesco è una riflessione sulle grande sfide ambientali che riguardano l'umanità. Va letta nella sua completezza e mi limito oggi ad usarla come spunto. L'incipit è legato alla scelta del nome, Francesco, voluta da Jorge Mario Bergoglio, argentino fiero delle sue origini piemontesi, come dimostrato ieri dalla visita a Torino per la Sindone con l'uso della sua lingua materna. Ecco l'inizio: "«Laudato si', mi' Signore», cantava san Francesco d'Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l'esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba»".
Nel testo figura anche - con evidente piacere per chi ami o viva la montagna - una citazione, che fa parte della cultura religiosa di estrazione spagnola del Santo Padre, che viene da un Santo cinquecentesco, san Giovanni della Croce, nato nella Vecchiaia Castiglia spagnola. Collaboratore di santa Teresa d'Avila nella fondazione dei Carmelitani Scalzi, Dottore della Chiesa, universalmente riconosciuto come mistico per eccellenza. Eccola: "Le montagne hanno delle cime, sono alte, imponenti, belle, graziose, fiorite e odorose. Come quelle montagne è l'Amato per me. Le valli solitarie sono quiete, amene, fresche, ombrose, ricche di dolci acque. Per la varietà dei loro alberi e per il soave canto degli uccelli ricreano e dilettano grandemente il senso e nella loro solitudine e nel loro silenzio offrono refrigerio e riposo: queste valli è il mio Amato per me". Tutte le religioni indicano nella montagna, per la sua elevatezza verso il cielo e l'aurea di misteriosità delle alte cime, come un luogo mistico per eccellenza e sede di divinità. Su ogni massiccio montagnoso del mondo ci sono simboli di Fede che corrispondono alle diverse religioni che hanno accompagnato la ricerca mistica della nostra umanità. Ricordo come gli ultimi due Papi, Giovanni Paolo II (le cui montagne dell'infanzia erano i Monti Tatra) e Benedetto XVI (bavarese e dunque originario delle Alpi tedesche), hanno proprio in Valle d'Aosta parole sulle montagne e la loro carica di spiritualità che resteranno scolpite nella Storia della Chiesa e di noi montanari. Trovo che questa componente della montagna come spazio di meditazione debba essere mantenuta anche nella dimensione turistica che caratterizza questo inizio dell'estate. Vorrei dire che va mantenuta anche la dimensione culturale della montagna, evitando che venga spazzata via nel segno di chissà quale modernità. Per capirci: la montagna non può essere vittima di logiche passatiste da "museo delle cere" o di un protezionismo ambientalista che protegga tutto tranne chi vive e conosce la montagna, ma si tratta altresì di rifiutare certe logiche di cambiamento illogiche e portatrici di autentico colonialismo. Rispetto moltissimo certi nuovi sport che percorrono la montagna a gran velocità, fra prestazioni agonistiche fatte tutte in una logica da record o da "superuomini" che cercano di oltrepassare i propri limiti. Ognuno è libero di far quel che vuole. Ma esiste una lentezza salutare, un modo di vedere le cose con gusto e senza fretta, un soffermarsi sui paesaggi e sui luoghi, un interagire con chi conosce la montagna e consente di condividere le sue conoscenze. Pensavo ad una banalità: quando si percorrono i sentieri di montagna e si incrociano delle persone è ancora in uso l'antica abitudine di scambiarsi un saluto. E' un segno rimasto contro il grigiore di certa vita quotidiana, eredità da tenere stretta, perché è una piccola luce di fraternità.