Capita, nelle circostanze della vita, di non andare in un posto che si trova a due passi dalla propria casa. E' un fenomeno che noto in molti, che amano mete esotiche e non conoscono cosa di bello si trova vicino. Così ti resta sempre la voglia di andarci e magari, come ho fatto ieri con una piacevole passeggiata, prima o poi ci vai. Il mio paese natale è Verrès e si trova nel fondovalle, attorniato dalle montagne. Una di queste - la più piccola ma molto incombente - è il "Mont Conge", di poco più di settecento metri, uno spuntone di roccia attorniato da frane e boschi, da dove si vede bene, con una prospettiva dall'alto, il castello-fortezza così famoso e originale. Il sentiero si sviluppa, aspetto curioso, partendo da un "Arboretum" realizzato nel 1951 dal Corpo Forestale, anche se certe piante, specie mediterranee, "importate" non ci sono più.
Così oggi il bosco inconsueto viene descritto da "LoveVda": "La variegata vegetazione può essere riconosciuta mediante appositi cartelli che ne indicano il nome botanico, oltre a quello italiano e francese. Si incontrano, oltre alle specie autoctone tipiche di questo ambiente xerofilo, quali roverella, corniolo, biancospino, olmo, bagolaro, robinia, eccetera, specie più esigenti quali ciliegio, frassino, castagno, pero, tiglio fino a scoprire delle vere e proprie rarità botaniche spontanee se rapportate a questo tipo di stazione: nespolo, pungitopo, alloro e fusaggine. Anche la flora erbacea e arbustiva è diversificata: troviamo le tipiche specie degli ambienti molto secchi e caldi quali saponarie, silene, rosa canina, vitalba, gigli selvatici , ed altre più esigenti, come la viola, la fragola e l'edera. Gli abitanti di Verrès chiamano questo luogo, in patois "Borna di Laou" o, in piemontese, "Tampa del luf", in quanto pare che nella zona, fino alla fine del 1800, ci fosse una tana abitata da un lupo". Poi si risale il versante della montagna, lungo il sentiero, in zone care e anche di allenamento del grande alpinista nativo del paese, Amilcare Cretier, morto nel 1933 a soli ventiquattro anni, dopo una straordinaria carriera alpinistica stroncata prematuramente sul Cervino. Ebbene sulla cima c'è una grande croce metallica, alta circa cinque metri, visibile anche la notte perché illuminata, frutto di un voto dei verrezziesi nel corso della Seconda Guerra mondiale, quando si temeva che il paese potesse essere bombardato. Nel dopoguerra, scampato il pericolo (non così immotivato, perché la vicina Pont-Saint-Martin fu vittima di un bombardamento degli Alleati), si è tenuto fede alla promessa e la croce è stata dedicata al principale patrono del paese Saint-Gilles, cui è storicamente intitolata la bella Prevostura che si trova alle pendici del monte e in faccia al castello. Mi è così a venuta in mente la polemica di qualche anno fa da parte di "Mountain Wilderness" e di altre associazioni ambientaliste contro l'eccesso di proliferazioni di segni religiosi sulle Alpi con particolare riferimento alle Dolomiti. L'occasione valse per riflettere su diversi livelli della questione, tolti i soliti eccessi ideologici. Il primo è che esistono realizzazioni (santuari, chiese, cappelle), che riguardano la cristianità, ma poi a ben vedere ci sono segni di fede di altre civiltà precedenti. Queste presenze storicizzate, talvolta espressione di religiosità popolare, sono un fenomeno ricco e interconnesso ai percorsi della civiltà alpina e delle sue diverse varianti. Diverso è un certo boom più contemporaneo, di cui la croce di Verrès è espressione genuina, di costruzioni di vario genere che sono sorte un po' ovunque. Come per tutte le cose c'è qualche rischio di eccesso e di kitsch. Sottoscrivo quel che ha detto Annibale Salsa, grande esperto del mondo alpino, invocando "sobrietà nella diffusione, realizzazione ed installazione dei segni devozione". Chiaro ed efficace.