Domani i Greci voteranno se accettare o meno le proposte dell’Unione europea. Anzi, così semplifico troppo, perché la domanda sulla scheda che verrà consegnata ai cittadini, in questa consultazione avvenuta tambour battant, è esattamente la seguente: «Deve essere accettato il piano di compromessi proposto dalla Commissione europea, il Fondo Monetario internazionale e la Bce all'Eurogruppo del 26 maggio 2015, composto da due documenti che costituiscono l'intera offerta? Il primo documento si intitola "Riforme per il completamento del programma corrente e oltre", il secondo "Analisi preliminare della sostenibilità del debito"». Due le possibili risposte proposte, con una curiosa inversione nella normale sequenza, difatti c’è prima il «no, non accetto» e poi il «sì, accetto».
Si è molto discusso sull'impiego o meno dello strumento referendario. I "pro Tsipras", specie in Italia, hanno plaudito alla coraggiosa scelta «di far pronunciare il popolo», come esempio limpido di impiego della democrazia diretta. I detrattori hanno segnalato come la manovra sia stata del tutto strumentale per rafforzare la coalizione al governo, anche se poi la rigidità europea su una soluzione in extremis ha posto il Primo ministro Alexis Tsipras e il suo partito "Syriza" (che è un acronimo di un’espressione che suona come "Coalizione della Sinistra Radicale") su di una graticola. A naso, ma potrei sbagliarmi, credo che alla fine vinceranno i “no”, perché quando ci si trova di fronte a sacrifici è difficile che una consultazione popolare, venata pure di nazionalismo ellenico, vada nel senso di accettare di perdere qualche cosa. Capitasse il contrario, invece, sarebbe il segno che il Governo ha fallito ed i Greci, più che pronunciarsi nel merito delle questioni, oltretutto senza un periodo congruo di spiegazioni dei fatti per scegliere in scienza e coscienza, vogliono mandare a casa chi li ha portati fino alla cabina elettorale. Vedremo gli scenari, che hanno un loro interesse, se è vero come è vero che fonti relativamente indipendenti indicano nello scenario peggiore come su ciascuno di noi, in Italia, il costo indiretto della vicenda greca varrebbe almeno mille euro sotto forma di inasprimenti fiscali o altre misure analoghe. Certo questo è il "particolare", perché bisognerebbe poi capire l’effetto domino sull'economia europea, specie di quei Paesi, come l’Italia, che sono più scricchiolanti, malgrado l’ottimismo renziano, ormai proverbiale. E bisogna capirne le conseguenze politiche di questa Economia (uso scientemente la maiuscola) che dimostra, come non mai, quanto manchi la Politica (anche con la maiuscola). Ma temo che, da una parte e dall'altra, si usino scenari catastrofici per influenzare il voto e che alla fine un Paese come la Grecia, con una popolazione che è un pochino più di quella di una Regione come la Lombardia, rischi davvero molto, mentre le ondate per l'Europa e i Paesi membri sarebbero destinate ad essere riassorbite con una certa rapidità, profittando anche della pausa estiva, soporifera per sua natura. Resta in effetti il problema, che porta a fare di tutta un’erba un fascio, di perché gli uni e gli altri non siano riusciti - come dovrebbe essere logico fare in certi casi - a trovare un ragionevole compromesso e in questo la politica europea ha spesso dato esiti importanti e sorprendenti, persino impensabili nella politica italiana. Invece, questa volta rigidità eccessive e forse anche furberie e malafede ci hanno portato a due passi da una crisi di nervi, che serve tra l'altro a ringalluzzire chi l’Europa non la vuole, ma non riesce a costruire con chiarezza quale sarebbe la nuova Europa che vogliono, tranne l’estrema Destra che l’Europa non vuole vederla neanche in cartolina. Non resta che aspettare e "vedere l'effetto che fa".