La crisi dello Stato Sociale morde e lo fa lasciando segni profondi. Inutile raccontarsi delle storie, perché il funzionamento della questione è evidente. Se l'impegno finanziario del settore pubblico diminuisce drasticamente, spinto anche dalla diminuzione della fiscalità, ci sono pezzi di welfare che resteranno sempre più privi di copertura. La coperta, comunque la si tiri, resta più corta e l'aumento di certe tariffe dei servizi diventerà una via da percorrere con effetti drammatici sui bilanci familiari. Ciò obbliga ad un riassetto complessivo della macchina pubblica, tagliando laddove esiste del superfluo e concentrando le risorse in quei settori sociali che devono essere lo zoccolo duro non attaccabile dalla filosofia, troppo spesso spicciola, della "spending review".
Ma esiste un altro problema che emerge in tutta la sua drammaticità: nel momento in cui il settore pubblico arretra e lascia spazi vuoti si indica nel ruolo del volontariato una delle strade maestre, considerando l'impegno civico personale come una medicina contro lo Stato Sociale che abbandona alcuni campi. Ma anche in questo caso la riflessione tanto proclamata rispetto al venir meno dell'impegno politico e la scelta persino di disertare le urne ha, come esatto parallelo, una crisi profondissima, specie fra i giovani, dell'adesione a tutto quel mondo associazionistico che fa del volontariato la propria bandiera. Parlo del volontariato vero (quello che i francesi chiamano "bénévolat", cioè impegno non retribuito in nessun modo) e non di quello che legittimamente è una professione, ma che è altra cosa. Su questo punto sarebbe bene, nel modello italiano, sincronizzare gli orologi per evitare di perpetrare situazioni di profonda ambiguità, che fanno male al Volontariato generoso e disinteressato. Tra l'altro andrebbe chiarito, come avviene in tutti i Paesi civili, che il volontariato non è né di Destra né di Sinistra, penetrando in larga parte del tessuto sociale come un impegno personale, certo spesso in forma collettiva, che ha nel suo "dna" anzitutto il desiderio - ripeto disinteressato - di "fare del bene" o, giusto addendo, "essere attenti alla difesa del bene comune". Mi ha molto incuriosito, sotto questo punto di vista, nel vasto dibattito - con la ridicola contrapposizione fra Milano e Roma - quanto scritto, in maniera fulminante, dall'editorialista Antonio Polito sulla situazione proprio della Capitale, esposta ormai in maniera evidente ad un degrado da cui sembra difficile risalire. Osserva Polito: «è con il lavoro delle sue imprese, dei suoi intellettuali, dei suoi artisti, che se ne ricostruisce un po' alla volta l'orgoglio e l'anima. Sì, perché una metropoli deve avere un'anima, e quando ce l'ha anche i politicanti e gli imbroglioni devono fare un passo indietro, quanto meno sono costretti ad agire nell'ombra, invece di dilagare alla luce del sole come è avvenuto in questi anni. La morale di questa brutta storia deve essere la seguente: ricostruire uno spirito pubblico capace di esprimere una nuova guida politica collettiva. Non ci serve un uomo della Provvidenza. Ci serve una città all'altezza del ruolo che la Provvidenza le ha assegnato». A me questo appello allo sforzo congiunto piace molto, perché è un modo vero per superare questo giochino della politica e dell'antipolitica che sembra ormai emergere dappertutto, Valle d'Aosta compresa, dove un esponente di "Casapound" celebra su "Facebook" la "Marcia su Roma" del fascismo, lasciando increduli per tanta ignoranza storica. Il civismo deve avere delle radici di conoscenza, che siano antidoti democratici al rischio che tutto si butti in vacca, perdendo quei punti di riferimento che sono prepolitici e trovano nel senso civico e nella cittadinanza consapevole il punto di riferimento. Solo così le ali del volontariato, che sono uno dei motori della sussidiarietà, gemella del federalismo, possono rifondare quel senso di partecipazione che sfronda ogni logica di estremismo, che resta una malattia infantile dovunque si manifesti. E in questo mondo intriso di fondamentalismo e integralismo ci vuole proprio un cemento, che il volontariato può assicurare, facendo da ponte anche tra modi diversi di vedere la vita.