2016, chissà che anno sarai e che cosa ci aspetterà nella nostra vita familiare e in quella del popolo valdostano. Una nozione importante, quella di "popolo valdostano", che sembra oggi come difficile da usare e non per una sua usura, quanto per una crisi profonda di valori e un progressivo allontanamento da certi elementi identitari senza i quali avanzerà il vuoto. So bene che non tutto dipende da noi soli, facendo noi parte di un mondo sempre più globalizzato e già in passato i grandi flussi della Natura e della Storia ci hanno investiti. Ma, pur tra mille difficoltà, si sapeva cosa fossero la Valle d'Aosta e i valdostani, nel mutare dei regimi politici di riferimento. Tornando ad oggi, dunque, i bilanci si faranno alla fine, all'inizio ci possono essere solo speranze e vale appunto il gioco di pensare ad una macchina del tempo che ci faccia tornare indietro.
Pensiamo a duecento anni fa, quando la Valle d'Aosta era tornata ai Savoia e dunque alla normalità dopo la Restaurazione e certe delusioni napoleoniche. Nessuno avrebbe mai potuto pensare ai danni anche sulle nostre montagne, quando l'agricoltura era sussistenza, della "non estate" del 1816 in Europa, dovuta all'eruzione del vulcano indonesiano Tambora, avvenuta nel 1815 e alle sue conseguenze sulla Terra (compresa la neve rossa sulle Alpi!). E pensiamo a cento anni fa, quando invece l'inverno fu terribilmente rigido in Valle d'Aosta, ma soprattutto nelle trincee delle Alpi Orientali dove centinaia e centinaia di giovani valdostani combattevano come Alpini nella feroce Prima Guerra mondiale. Mentre settant'anni fa - e annoto pure che fu un anno nevoso - proprio il 1° gennaio del 1946 la Valle d'Aosta venne restituita dal Governo militare alleato all'amministrazione del governo italiano ed entrarono in vigore i due decreti luogotenenziali. Nel pomeriggio del 10 gennaio del 1946 si riunì il primo Consiglio della Valle, i cui venticinque componenti erano stati indicati dai partiti antifascisti del CLN. Scampoli di Storia su cui sarebbe bene riflettere non solo per guardare certe radici della nostra comunità, quanto perché è sempre importante riflettere sul fatto che proprio dal passato arrivano gli elementi propulsivi per guardare avanti e anche dentro di noi. Cosa sta capitando? Perché, ad esempio, l'anniversario dell'Autonomia - settant'anni! - sta passando come nulla fosse, con un minimo sindacale di evocazioni e ricordi? Roba da matti, pensando alla temperie attuale di una Specialità posta ogni giorno in discussione, se non sul banco degli imputati. E ad una comunità che ha ormai dei cittadini - e non sempre conta l'origine, anche se talvolta conta - che sembrano lobotomizzati rispetto al perché della nostra Autonomia, non alzando neppure un dito in difesa o come adesione ad una Regione autonoma nata non per caso o per qualche accidente. Sarebbe ora che ci fosse un risveglio delle coscienze nelle persone di buona volontà e che ci sforzassimo di dare sempre di più il senso di un perché ad un regime di autogoverno moderno, efficace e - fatemelo scrivere - europeo. Ed i perché sono tanti e non si può essere rinunciatari o sentirsi dei vuoti a perdere, destinati a chissà quale normalizzazione, svuotando il nostro modo di essere, privandoci non solo delle già citate speranze, ma andando verso una situazione di impoverimento rispetto a quel benessere lentamente costruito nel dopoguerra, pur con gravi storture e molte difficoltà. Reagire sarebbe un dovere civico e morale nel 2016.