Tocca rassegnarci alle circostanze e bisogna prenderla con la giusta filosofia. Ci sono durante l'anno delle manifestazioni ripetitive simili ai vecchi fari marini, che segnano le coste e sciabolano con le loro luci i mari circostanti, malgrado la loro evidente inutilità in un'epoca di satelliti che guidano le navi. Questo vale per certi eventi, che - anche se sparissero - nulla cambierebbe nella nostra vita, se non il fatto che alla fine siamo animali che prendono facilmente delle abitudini e dunque un piccolo smarrimento, ma non sgomento, lo potremmo provare. La metafora marina viene ispirata dalla mia amata Riviera di Ponente, complessa terra di confine, nota - ed è poco rispetto alla sua ricchezza culturale e naturalistica - per via del solito "Festival di Sanremo", nato non a caso all'ombra di un Casinò, che cercava nel dopoguerra occasioni per farsi pubblicità.
Un Signore o meglio una Signora - questa rassegna della canzone italiana (ma poi si va a caccia di big stranieri!) - che ha ormai 65 anni ben portati: assieme fenomeno di costume e avvenimento televisivo. Anche il più snob un'occhiata alla fine la dà, non fosse altro che, per un'ormai vecchia consuetudine, di Sanremo e delle sue canzonette si parla più di quanto si dovrebbe e da qualche parte una notizia o un'immagine in merito l'incrocia anche il più pervicace dei disinteressati. Per altro, la nobile arte del cazzeggio, un tempo riservata a chi seguiva da casa (mi vien da dire con una vecchia parola nel tinello...) e con amici e parenti commentava cosa vedeva in televisione con battute varie personaggi festivalieri, oggi si è allargata a dismisura con l'uso dei Social e confesso su "Twitter" di essermi fatto delle grasse risate. Esiste qualcosa di nuovo in questa possibilità di vedere da soli uno spettacolo collettivo e di commentarlo in modo corale grazie ad Internet, uscendo dal rischio ipnotico della sola televisione, anche se la frenesia da scrittura sui social crea dipendenza... Con "Sanremo" viene oggi "pompato" un avvenimento ormai modesto, esattamente come si fa con il cinema "Ariston" che da triste sala di provincia, destinata a vivere solo di ricordi di un glorioso passato, diventa un tecnologico e avveniristico studio televisivo. Tolti luci e lustrini la pochezza resta intatta. A differenza del "Disco per l'Estate" di Saint-Vincent, nato nel 1964 (e morto negli anni Novanta) sempre con un Casinò di mezzo e come versione estiva di presentazione dei dischi di stagione simile al Festival ligure, "Sanremo" è sopravvissuto più per fortuna che per merito ed anche quando sembrava destinato a scomparire è andato avanti per la semplice ragione che la Televisione tende a non inventare nulla e più invecchia il pubblico è più cresce la tentazione di non innovare mai, rifacendo sempre le stesse cose per non turbare telespettatori abitudinari e conservatori. Per altro - in perfetta analogia con il renzismo imperante - si finge, in un afflato collettivo, di proporre cose nuove e innovative, mentre la minestra è sempre la stessa, come si vede da questa edizione 2016. Il bravo presentatore, la bonazza straniera, la valletta (quest'anno "valletto") un po' stranita, i comici vari. E poi loro, i cantanti, con le loro melodie (cantare dal vivo svela molte magagne) ed i loro vestiti, talvolta intenzionalmente provocatori, perché l'importante è che se ne parli. Gli ospiti, insomma, devono fare impressione in una logica circense, che attiri pubblico, così come avviene con la parata grottesca dei direttori d'orchestra. Tutto sembra nascere in un clima assai paludato, che finisce invece per essere di un'allegria felliniana, quindi venata da un'ironica e polverosa nostalgia e da un odore di naftalina, come di un vecchio vestito tirato fuori da un armadio. Ma gli ascolti sono gli ascolti - dura lex sed lex - e questi sono premianti, per cui ogni discussione o critica diventa leziosa e in fondo inutile! Viva Sanremo!