Era la prima metà del Settecento, quando l'economista francese Vincent de Gournay - lo stesso della massima «laissez faire, laissez passer» - inventò la parola "bureaucratie", fatta da "bureau" (ufficio) e "cratie" (potere). Il significato - "potere degli uffici" - è più o meno questo: "Autorité, pouvoir diffus qui se caractérise par des règles procédurières strictes, la division des responsabilités, une forte hiérarchie et des relations impersonnelles". Il termine arriva in italiano dal francese all'inizio del Novecento, intendendo appunto con il termine il complesso della Pubblica amministrazione, ma assume anche un significato negativo perché incarna un eccesso di potere.
Per altro e negli stessi anni dell'impiego in Italia della definizione "burocrazia", Max Weber ne scrive approfonditamente e cito in francese per comodità qualche sua annotazione: «L'État moderne naît lorsque le prince prend sous son égide la monopolisation de la violence et la bureaucratisation de un l'administration. Les puissances étatiques continentales du début des temps modernes se sont entièrement concentrées entre les mains des princes qui ont pris de la manière la plus résolue le chemin de la bureaucratisation de l'administration. Se fondant sur ses considérations historiques, plus le temps passe, plus le grand État moderne a tout simplement besoin d'une base bureaucratique». Poi c'è chi ha affondato la lama in profondità, come il creatore della "legge di Murphy" (tipo: «La probabilità che una fetta di pane imburrata cada dalla parte del burro verso il basso su un tappeto nuovo è proporzionale al valore di quel tappeto») Arthur Bloch che dice: «L'organizzazione di ogni burocrazia è molto simile a una cloaca: i pezzi più grossi emergono sempre» oppure «Se c'è una maniera di rimandare una decisione importante, la buona burocrazia, pubblica o privata, la troverà». Presa ancora sul ridere, meno grossier di quanto detto in precedenza, scherzava Ennio Flaiano: «Gli presentano il progetto per lo snellimento della burocrazia. Ringrazia vivamente. Deplora l'assenza del "modulo H". Conclude che passerà il progetto, per un sollecito esame, all'ufficio competente, che sta creando». Gli fa eco Bruno D'Alfonso: «La figlioletta: Papi, che significa con esattezza il termine "burocrazia"?. Il papà: Scrivimi la domanda su carta semplice a quadretti e torna a ritirare la risposta tra una quindicina di giorni». C'è del giusto e dello sbagliato nelle critiche, specie dove la Burocrazia - penso alla piccola Valle d'Aosta - dovrebbe essere di prossimità e facile da consultare e da sollecitare alla luce, oltretutto, di norme su trasparenza e accesso che dovrebbero fare della Pubblica amministrazione in particolare un'amichevole "casa di vetro". E per molti il comportamento è per fortuna questo. Poi nella pratica è nella selva di leggi regolamenti e affini (talvolta perché chi ha un potere lo usa anche maldestramente) ci si trova di fronte a casi in cui le storture si evidenziano. Personalmente - ripeto - non generalizzo, avendo vissuto dentro a burocrazie, come quelle a Roma e a Bruxelles nel lavoro politico ed avendo fatto anche esperienze nel cuore della burocrazia valdostana sul fronte dell'Esecutivo. Mi sono così esercitato in tenzoni riguardo alla semplicità del linguaggio, alla facilitazione delle procedure, all'indicazione chiara degli interlocutori dei cittadini: insomma rendere tutto più veloce e amichevole, cavalcando il cavallo difficile della sburocratizzazione. Facile da dirsi difficile da farsi, perché esiste sempre - forse nascosto in un lugubre sottoscala - l'"Ufficio complicazioni affari semplici", che come avviene per la la tela di Penelope si occupa di disfare in un battibaleno tutto quanto buona Politica e buona Dirigenza fanno per svecchiare e far funzionare delle macchine burocratiche all'epoca poi - che pareva magica - della digitalizzazione con il cittadino in un battibaleno in contatto con il Pubblico e viceversa. Basterebbe volerlo. Chi è federalista tende a ritenere che uno Stato leggero, a più livelli di governo vicini al cittadino in una logica di sovranità diffusa e di sussidiarietà che sgonfia il "tutto pubblico", potrebbe essere un modello interessante per andare verso migliori soluzioni. Seguo di questi tempi - ma il riferimento è puramente casuale e non vuole essere malizioso - l'intrico di documentazioni che ha portato a Saint-Vincent, con mobilitazione dei cittadini arrabbiati, alla chiusura per rischi di crolli in strutture dei soffitti della piccola scuola di Moron, situata nella collina e amata per la sua splendida location e anche perché erede residua di quelle scuole di villaggio un tempo fiore all'occhiello di una Valle d'Aosta del tempo che fu, dove in montagna la lotta contro l'analfabetismo passava attraverso una scolarizzazione di base nelle comunità locali. Una logica di burocrazia per evitare danni possibili - e dunque pienamente legittima - aprirà la stura a scelte amministrative per lavori che possano permettere il mantenimento della struttura, attraverso un iter forzatamente complicato e non sempre facile da leggere per la cittadinanza a causa di passaggi... burocratici. La speranza resta sempre che si metta del buon olio lubrificante nei meccanismi per far avanzare documenti e decisioni in tempi utili per riaprire quella piccola scuola da cui si domina il fondovalle dove generazioni di bambini hanno imparato a leggere e scrivere.