L'altro giorno un amico mi ha parlato della spesa farmaceutica e mi ha segnalato la crescita nel tempo dell'uso degli psicofarmaci, segno di disagio crescente e - a suo dire da psicologo - di certi casi che forse potrebbero essere felicemente risolti con psicoterapia per evitare forme di uso improprio di medicinali "impegnativi" (e anche costosi per il sistema sanitario). Non mi pronuncio sul punto, non avendo le competenze scientifiche necessarie su di una querelle che mette di fronte organicisti e fautori della psicoterapia, anche se forse - ma lo dico a tentoni - la verità sta nel mezzo. Mi vengono, tuttavia, in mente due cose: la prima è che un giorno una farmacista alla domanda su quali fossero i farmaci più consumati mi aveva risposto, fra il serio e il faceto e in ordine di apparizione, «lassativi» e «psicofarmaci».
La seconda riguarda la vecchia saggezza di un prete amico che, sofferente di depressione, annotava - perché nessuno più di un curato di paese aveva modo di osservare i suicidi nella sua parrocchia, specie negli anni in cui il Diritto canonico era severo con chi si dava la morte (ma il mio amico aveva spezzato questa prescrizione) - di come l'apparizione degli psicofarmaci fosse stata salvifica per molti casi altrimenti destinati a finire male. Poi, abbastanza per caso, piombo su di un rapporto "Salute mentale e dipendenze" nel quadro del vasto rapporto chiamato "Osservasalute", frutto dell'Osservatorio sulla salute nelle regioni italiane, una sorta di miniera d'oro per chi voglia ricavare da dati storici e attualizzati l'andamento in diversi settori sanitari. Leggiamo le premesse: "L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la salute mentale come "uno stato di benessere in cui ogni individuo realizza il proprio potenziale, è in grado di far fronte agli eventi stressanti della vita, è in grado di lavorare in modo produttivo e fruttuoso ed è in grado di fornire un contributo alla comunità". Salute, quindi, non solo come assenza di malattia, ma come capacità di sviluppare il proprio potenziale con ricadute positive sul contesto sociale nel quale il soggetto è inserito. L'attuale congiuntura economica, con l'aumento della disoccupazione e la riduzione degli investimenti pubblici, unitamente al processo di invecchiamento della popolazione, rende necessario focalizzare l'attenzione sulla massimizzazione del well-being (benessere) in tutto l'arco della vita. In quest’ottica, l'OMS ritiene essenziale un approccio di tipo multisettoriale e non limitato soltanto all'ambito sanitario (...) Tra tutte le dimensioni possibili, per ragioni di economia e fattibilità, la scelta è caduta su tre core indicator (indicatori chiave): il numero di soggetti dimessi nel corso dell'anno con una diagnosi di "disturbo psichico", il consumo di farmaci antidepressivi ed il numero di suicidi". Poi la sintesi in cui siamo tirati in ballo: "In sintesi, i risultati mettono in luce delle criticità in alcune realtà territoriali. Tra le aree di maggiore criticità segnaliamo, in particolare, la Provincia autonoma di Bolzano, la Valle d'Aosta e la Sardegna, che presentano valori particolarmente elevati (la Sardegna solo per il genere maschile) di soggetti ricoverati per disturbi psichici e per disturbi alcool-correlati, nonché di mortalità per suicidio. La Provincia autonoma di Bolzano presenta anche valori particolarmente elevati di consumo di antidepressivi, mentre per le altre due regioni summenzionate il consumo di questi farmaci è nella media (Valle d'Aosta) o solo di poco superiore (Sardegna)". Ma proprio rispetto - cito la dizione della tabella - al consumo (DDD/1.000 abitanti/die) di farmaci antidepressivi, pesato per età, per regione - anni 2004-2014 è vero che per la Valle d'Aosta il dato più recente di 38,70 non è elevatissimo visto che la media nazionale è 39,30, ma va detto che se si parte dal 2002, quando il dato valdostano era 25,50 si nota - con l'unica eccezione del 2012 - un continuo incremento che deve fare riflettere. Così come resta problematica la questione dei suicidi, legata prevalentemente proprio al disagio mentale. Con il 13,6 la Valle è purtroppo in testa al triste tasso medio (grezzo, standardizzato e specifico per 100mila) di mortalità per suicidio per regione con i dati 2011-2012. Così come siamo purtroppo i primi negli stessi anni per il tasso medio (standardizzato per 100mila) di mortalità per suicidio nella popolazione di età quindici anni ed oltre per genere e per regione con 21,29 per gli uomini e il 5,70 per le donne. Conosco bene i limiti della statistica, specie se applicata a piccoli campioni, ma è indubbio che una riflessione complessiva vada sempre fatta non nascondendosi la realtà (altri dati sull'alcolismo fanno davvero impressione), perché è in gioco la vita delle persone, la serenità della famiglie e il terribile prezzo sociale pagato dalla comunità valdostana.