E' interessante rilevare in premessa come per la "questione valdostana", cioè l'insieme di fatti, avvenimenti e persone che nei secoli passati hanno forgiato un'identità politica della Valle d'Aosta con alcuni passaggi topici ancora vicini, come quelli dal 1945 in poi, sia da sempre fondamentale capire - in Italia ed in Europa - quanto facciano gli altri popoli privi di una dimensione statuale. Quelli che gli spagnoli chiamano le Nazioni senza Stato, sapendo che la gamma delle situazioni è in verità molto varia. Così nelle rivendicazioni si passa da chi si accontenta di richieste flebili di decentramento sino all'ambizione di dar vita - pensiamo alla Scozia - ad un vero e proprio Stato indipendente.
Avere consapevolezza della necessità di rapporti politici è una precondizione per non languire in una dimensione provinciale e localistica, chiusa a rapporti esterni, che sono invece un ossigeno per capire che cosa gli altri stanno facendo, in una logica di scambio politico arricchente ed utile anche sotto il profilo dell'approccio amministrativo ai problemi da risolvere. All'Europa gulliver si contrappone un'Europa di lillipuziani, che fanno rete e sistema fra di loro, sapendo quanto dal basso e dall'alto lo Stato-Nazione come lo concepiamo oggi agisce e vive fra mille incertezze. La speranza, per chi è federalista, è che si possa coniugare, nel caso europeo, una dimensione continentale ed assieme una rete sottostante che non obbligatoriamente faccia riferimento alla costruzione obsoleta ed anacronistica degli Stati nazionali, come ben sanno i popoli di frontiera come i valdostani, che se venissero meno alla logica di cerniera culturale, allora si troverebbero solo nelle condizioni di un territorio estremo privo d'interesse e naturale cul de sac in una visione centralistica del potere. Malgrado qualche piccola recrudescenza, sono passati più di diciassette anni dal "Good Friday agreement", gli accordi di pace firmati nell'aprile del 1998 dal governo britannico ed irlandese e dieci da quando l'"Irish republican army - Ira" ha annunciato l'inizio della distruzione degli armamenti. Questa questione dell'Irlanda del Nord è stata una lunga scia di sangue in un conflitto religioso ed indipendentistico molto complesso e specifico. Lo stesso vale per i Paesi Baschi. Mentre la Catalogna sceglieva per la propria indipendenza la strada costituzionale, pur travagliata, una vasta fetta di indipendentisti baschi scelsero la strada del terrorismo e solo il 20 ottobre 2011 l'organizzazione terroristica "Euskadi ta askatasuna - Eta" annunciò l'abbandono delle armi. Ora anche le "Front de libération nationale de la Corse - Fnlc" annuncia di voler rinunciare alla lotta armata, dopo che la componente politica nazionalista ha preso il potere sull'isola e dunque gli indipendentisti che aveva scelto la strada della violenza lasciano le armi. In fondo queste notizie, pur provenendo - lo ripeto ancora - da situazione singolari non esattamente comparabili, confermano la bontà della scelta che gli autonomisti valdostani intrapresero alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando le spinte di rivendicazione, che andavano dall'indipendenza all'annessionismo con Francia e Svizzera, da un regime federalista con l'Italia a richieste regionalistiche con Roma, vennero poi incanalate nelle Istituzioni democratiche previste dalla Costituzione italiana e dalle particolari condizioni normate prima dai Decreti Luogotenenziali e successivamente dal vigente Statuto d'Autonomia. Ma quel che deve risultare chiaro è che certe scelte non violente, che sono secondo me una conditio sine qua non del confronto politico, non devono essere avvertite come debolezza identitaria o dimostrazione che ormai è possibile essere asfaltati, perché ad azione non ci sarebbe reazione. Questo è il mantra di chi non solo ormai vuole strappare alla Valle d'Aosta l'Autonomia Speciale come sopravvivenza del passato priva di ragioni attuali e di chi - spingendosi più in là - predica ai quattro venti la soppressione stessa di una Regione Valle d'Aosta, non solo declassata ad Ordinaria ma "fusa" con il Piemonte o con qualche macroregione più o meno grande. La scelta di stare nell'alveo del Diritto costituzionale e di operare in un rapporto corretto ieri con lo Stato e oggi anche con l'Europa non possono essere considerate fragilità e fiacchezza nei confronti degli evidenti pericoli da contrastare per rispetto anzitutto verso sé stessi. Certo nell'esprimere le ragioni dei diritti bisogna scegliere una linea di difesa convinta e documentata e non basata su logiche di sudditanza o peggio di accattonaggio verso i potenti di turno. Senza dignità e competenza nessuno ti prende sul serio.