Capita, nei pensieri, di fare curiose associazioni di idee e il prodigio della mente umana penso sia proprio in questo: la capacità di speculare e di mettere insieme cose molto diverse e giocarci. Era Cartesio che diceva: «La ragione non è nulla senza l’immaginazione». Gli opposti sono un semplice punto di riferimento: bene e male, chiaro e scuro, dolce e salato, bello e brutto, lungo e corto, bravo e cattivo e via di questo passo. Una duplicità che ci serve per capire e farci capire. In questo senso mi ha sempre affascinato l'antico dio romano Giano ("Ianus", dal cui nome deriva Gennaio), il dio del passaggio (che si compie, in origine, attraverso una porta, in latino "ianua"); in particolare è il dio degli inizi di un'attività umana o naturale, oppure di un periodo. Non a caso era rappresentato come un busto con due volti (erma bifronte) che guardano in direzioni opposte: l'inizio e la fine, l'entrata e l'uscita, l'interno e l'esterno.
Ci pensavo, più prosaicamente e in una visione del tutto soggettiva, rispetto a tante primavere della mia vita, quando il "Giro d'Italia" annunciava la fine imminente della scuola e le vacanze scolastiche attraversavano - in estati che nel ricorso paiono solo sfavillanti - un terzo dell'anno, da inizio giugno al 1° ottobre. Ebbene, per me - per una ventina d'anni - il passaggio era fra la montagna valdostana ed il mare della Liguria. Due ambienti naturali che sembrano davvero nel solco degli opposti, ma proprio l'esperienza vissuta dimostra come - in questo gioco dei contrari - alla fine gli opposti si incontrano Diceva il poeta romantico William Wordsworth: «Due voci possenti ha il mondo: la voce del mare e la voce della montagna». Mi riconosco in entrambi: penso solo ai suoni felpati e all'aria rarefatta delle quote più elevate che somiglia alle profondità marine che ho avuto la gioia di percorrere da subacqueo e in entrambi i casi la scoperta della flora e della fauna è la conferma della straordinaria capacità di adattamento della Natura. Penso alla varietà dei mari e delle montagne, alle spiagge e alle pareti dei diversi colori, alla meteo che trasformano paradisi in inferni. Pure le persone si somigliano fra chi affronta il mare - come possono fare i pescatori - e gli allevatori che sfidano gli alpeggi al limitare delle vette. I mari sono senza confini veri, perché quelli ce li siamo costruiti, come le frontiere sono ferite artificiali sulle montagne. Capisco che proprio il ragionamento si piega al mio modo di vedere ed alla complementarietà, che forse in me - in queste settimane che un tempo erano di passaggio - finiscono per essere solo nostalgia. Nostalgia di un ponte che non c'è più in maniera così intensa tra la montagna e il mare, che però mi resta sempre nel cuore e mi obbliga periodicamente a cercare una spiaggia da cui osservare un tramonto, annusare un mareggiata, entrare nel mare nuotando fino a quando quella spiaggia diventa un orizzonte di terra. La montagna - che è il mio panorama più quotidiano - così la descrive il grande Walter Bonatti: «Che quelle rocce innalzantisi in forma di mirabile architettura, quei canaloni ghiacciati salenti incontro al cielo, quel cielo ora azzurro profondo dove l'anima sembra dissolversi e fondersi con l'infinito, ora solcato da nuvole tempestose che pesano sullo spirito come una cappa di piombo, sempre lo stesso ma mutevolmente vario, suscitano in noi delle sensazioni che non si dimenticano più». Sul mare - che sogno spesso - così lo scrittore Alessandro Baricco: «Dove inizia la fine del mare? O addirittura: cosa diciamo quando diciamo: mare? Diciamo l'immenso mostro capace di divorarsi qualsiasi cosa, o quell'onda che ci schiuma intorno ai piedi? L'acqua che puoi tenere nel cavo della mano o l'abisso che nessuno può vedere? Diciamo tutto in una parola sola o in un sola parola tutto nascondiamo?». E' bello così essere un Giano bifronte.