Una settimana fa mi sono trovato in un'occasione pubblica - una conferenza dell'associazione "Il Cenacolo" di Saint-Vincent - a parlare del Gioco con due persone molto diverse fra di loro. Uno è Paolo Giovannini, che entrò al Casinò di Saint-Vincent nel 1968 per volere del Conte Gabriele Cotta, allora dominus della Casa da gioco, che lo aveva conosciuto come insegnante di matematica dei figli. Poi - entrato in questo mondo - ha scalato i ruoli sino a diventare un esperto riconosciuto di tutto quello che afferisce il gioco d'azzardo, anche se non ha mai giocato con quei giochi che conosce a menadito. L'altro è Davide Jaccod, giornalista a "La Stampa", e fra i fondatori di un'interessante associazione, "Aosta iacta est", che ha fatto dei giochi di vario genere (ma non quelli d'azzardo!) un divertimento popolare più per gli adulti che per i bambini, basti pensare alla manifestazione di piazza Chanoux di ogni anno, diventata il paradiso terrestre dei diversi giochi possibili, roba da perdersi pensando alle infinite varianti, che Jaccod conosce e pratica, giocando.
Due storie diverse che si sono incrociate in una discussione serale attorno al gioco. A me, moderatore, veniva da sorridere a pensare ai miei giochi d'infanzia, alla voglia di giocare che ho ancora adesso, a come il gioco sia divertimento e di come i valdostani lo declinino con colpi di propria personalità collettiva, come può avvenire con gli sport popolari (giochi antichi sopravvissuti), con giochi da bar persino ancora vietati (come la "morra") ed anche con con le battaglie delle mucche e delle capre. Loro, invece, confermavano il pensiero che tutto si leghi fra tradizione e innovazione, fra giochi vecchi e nuovi in una direzione che è messa assieme - usando la differenziazione adoperata in inglese fra il giocare ("play") e il gioco d'azzardo ("gambling") - dalla necessità, per chi non sia iniziato a giochi particolarmente difficili, dal desiderio generale di avere sempre più dei giochi facilmente comprensibili con regole semplici. Emergono due aspetti interessanti. Il primo riguarda i Casinò, pensando alla crisi in cui versa Saint-Vincent, un tempo "numero uno" in Europa e che oggi vive una crisi profonda appena mascherata da operazione di cosmesi. Ma conterà alla fine e purtroppo la rudezza dei bilanci. Giovannini, in barba all'età che dovrebbe renderlo conservatore, osserva oggi - e lo applicherà a Sanremo per cui lavora oggi - la necessità di lasciare le strade sinora battute alla ricerca di nuovi giochi e nuovi approcci, senza i quali - questa la sua tesi - non si sfrutteranno gli spazi di ripresa, che vede con chiarezza. Ad esempio, par di capire, ci sono piste interessanti che riguarda la spettacolarizzazione del "poker" (ad esempio con il "Texas hold'em") che sembrano intaccare la staticità di certi giochi e la semplice fortuna della vincita. Lo ricordava già Fëdor Dostoevskij e siamo fermi lì: «Mi è parso che in realtà il calcolo significhi molto poco e comunque non abbia affatto tutta l'importanza che gli attribuiscono molti giocatori. Certi se ne stanno lì seduti davanti a dei pezzi di carta rigata, segnano tutti i colpi, li contano, ne deducono le probabilità, fanno i loro calcoli e alla fine puntano e perdono proprio come noi, semplici mortali che giochiamo senza calcolare niente». Partendo anche dal presupposto importante che i Casinò - luogo protetto e controllato - sono l'unico antidoto ad un gioco dello Stato biscazziere che ha perso il controllo della situazione, specie con il moltiplicarsi delle "slot-machine" nei bar e con troppi giochi a dopare il settore, anche per le implicazioni fiscali per la macchina statale che arranca senza questa operazione di spennatura dei cittadini. Il secondo riguarda - in epoca di videogiochi che rendono piuttosto alienanti i giochi - l'idea di Jaccod del gioco come elemento di socialità da non disperdere, anche attraverso sorprendenti confronti generazionali, come può essere mettere di fronte nonno e nipote, sapendo che, come diceva Pablo Neruda, «Il bambino che non gioca non è un bambino, ma l'adulto che non gioca ha perso per sempre il bambino che ha dentro di sé». Ma è anche un elemento di arricchimento culturale, visto che ogni Paese e persino ogni Continente mette nei giochi la propria identità e dunque conoscere più giochi diventa una sorta di possibile giro del mondo, stando fermi nello stesso posto.