Sono solidale e vicino alle popolazioni colpite dal terremoto, l'ennesimo che fa vittime e danni in zone che si sa bene, purtroppo, quanto siano a rischio sismico, perché la Scienza non può prevedere purtroppo certi fatti, ma sulla definizione dei gradi di pericolosità e conseguenze potenziali di un sisma non ci sono dubbi. Per cui non ci si stupisca dell'evento quando arriva, perché non è frutto del Male, ma degli elementi naturali che rendono la vita di noi uomini costellata di problemi su cui non possiamo intervenire, se non con ragionevoli, ma non sempre decisivi, elementi di prevenzione. Il senso di fraternità e di partecipazione a lutti terribili - ci sono storie che lasciano esterrefatti per le sfortunate combinazioni - deriva anche due elementi soggettivi.
Il primo risale alla mia profondissima infanzia e poi a quando ero bambino più grandicello. Mentre in Valle d'Aosta, che oggi ha ormai anch'essa la sua dose di sismicità che presuppone "scuotimenti modesti" ma che obbliga a logiche progettuali diverse dal passato, mai avevo sentito parlare di terremoti, la realtà mi piombò sulla testa a casa del nonno materno a Castelvecchio di Imperia, in una zona sismica mica da ridere, come raccontato dalla triste storia di avvenimenti assai gravi che costellano il passato di larga parte della Riviera di Ponente. Ebbene ho il ricordo confuso - nelle fasi, ma nitido nel terrore che provai - di un risveglio con un boato sordo con tutto che si muoveva, in primis i lampadari, e la corsa obbligata giù a rotta di collo dalle scale fino a ripararsi nel giardino sotto casa vicino all'albero di albicocche carico di frutti. Storia che si ripeté laggiù in altre occasioni da bambino e io sapevo quale fosse il pericolo, che mi era stato spiegato, da nonno Emilio, che ci aveva tuttavia catechizzato sul fatto che la sua casa fosse stata fra le prime nella frazione ad essere stata costruita con il cemento armato e dunque pronta agli urti e sommovimenti della terra. Il secondo elemento riguarda il dopo terremoto de L'Aquila del 2009: a pochi mesi dalla scossa terribile decisi, per i programmi di "RaiVd'A", di girare un documentario in Abruzzo per testimoniare l'impegno valdostano nei soccorsi e nella ricostruzione. L'occasione mi servì anche per vedere, al centro della città, quel Palazzo del Governo, purtroppo gravemente danneggiato dalle scosse, dove mio nonno René fu Prefetto della Provincia dal 25 Agosto del 1919 al 16 Novembre del 1920. Restai grandemente impressionato dai danni in questa città di montagna, in fondo con similitudini con Aosta, ed anche dalle drammatiche distruzioni delle frazioni più montane, dov'era facile ritrovare nei luoghi altrettante analogie con la nostra Valle con i suoi paesi ed i loro hameaux. Così come i tratti umani e culturali creavano un ponte naturale fra noi, popolazioni di montagna. Mi era capitato per altro - per vacanza ma anche per lavoro, quando i problemi della montagna in Italia e in Europa erano un impegno quotidiano - di visitare diverse zone di quella catena montuosa straordinaria e vastissima, che è l'Appennino con i suoi 1.500 metri di lunghezza attraverso la Penisola. Ebbene, mi sono sempre trovato a casa, dovunque fossi, pur con dialetti diversi ed altimetrie non sempre rapportabili alle quote alpine. Ma molti problemi ed elementi caratteriali e di civiltà ci rendevano fratelli. Anche lì sentivo l'idea che le autonomie speciali non fossero - com'è usuale ritenerle da troppi ormai - un elemento di privilegio, ma invece una chiave di lettura importante per l'autogoverno dei territori montani e per il mantenimento di quei tratti specifici, che la "Dichiarazione di Chivasso" individuava come cantoni dentro un quadro regionalista. Un disegno che pareva ad un certo punto potersi concretizzare nelle "Comunità montane" e più di recente nelle "Unioni dei Comuni", ma - scava scava - il centralismo delle Regioni e il neocentralismo dello Stato continuano a marginalizzare la montagna, malgrado la buona volontà di chi si batte per dare dignità ad una montagna ferita da tanti mali. Ora il terremoto colpisce la parte del Centro dell'Appennino e così da oggi l'informazione accenderà i suoi fari su una realtà in crisi - come il paese più colpito dal sisma, Amatrice, il cui territorio culmina ai 2.458 metri del Monte Gorzano - fatta appunto di Comuni montani spopolati che rivivono con il breve ritorno estivo degli emigrati, dove le comunità sono agonizzanti anche perché i servizi pubblici essenziali se ne vanno e con essi anche i pochi giovani che avrebbero potuto scegliere di restare. Spente le luci, resterà la volontà di ricostruire, come oggi promette persino il premier Matteo Renzi, ma ciò - ammesso che non siano solo "promesse a caldo" - sarebbe inutile, anche qualora avvenisse davvero, senza reali politiche per la montagna.