A guardare questa estate viene in mente la bellissima Luisa Ranieri e lo spot di una quindicina di anni fa con il famoso e torrido (non solo per la temperatura) tormentone «Anto', fa caldo» della "Nestea". Questa idea del bel tempo come valore assoluto - di cui sono portavoce le meteorine televisive depresse in video in caso di pioggia - è già relativizzata quest'anno da una natura arsa per la gran parte della bella estate, ma esiste una tendenza generale ben più delicata e che mi crea una vaga apprensione per quel che verrà. Se davvero dovessimo guardare solo fin dove arriva il nostro sguardo e la nostra prospettiva di vita, allora avremmo davvero scarso acume e la stessa politica sarebbe lo spazio fra un'elezione e un'altra, piccola cosa strisciante e non un tentativo di guardare dall'alto al domani, che si decide in gran parte oggi.
Forse mai come in queste settimane il riscaldamento globale lo abbiamo avvertito sulla nostra pelle anche nell'alpina Valle d'Aosta con constatazioni soggettive e i con i famosi crolli di rocce in montagna che sono come una dimostrazione pratica della febbre perniciosa in atto e a giorni immagino avremo conferma di un mese di agosto dalle temperature record anche a quote elevate. Ormai questi incrementi sono sempre più rapidi e sulle Alpi siamo in media a quasi due gradi centigradi in più da inizio Novecento, segno a casa nostra che il riscaldamento globale è una realtà. Io condivido il filone largamente maggioritario che ritiene che - se è pur vero che il caldo e il freddo si sono alternati per millenni sullo stesso lembo di Terra - la responsabilità umana è oggi significativa nel cambiamento. E va detto che per ora le strategie d'azione globale sono deboli e incerte (annoto che finalmente la Cina sembra aver capito la necessità di muoversi), anche se resto convinto che si possa serenamente mantenere con interventi seri un livello di sviluppo elevato senza pensare a chissà quali logiche pauperistiche di un irreale ritorno a non si bene quale passato. Anni fa, con Luca Mercalli, ragionammo sulle prospettive del cambiamento climatico in Valle d'Aosta e gli esiti restano nella sostanza validi. Ma l'impressione - ad esempio sotto il profilo energetico - è che non sempre si vada nella direzione auspicata. Un caso di scuola è l'uso di impianti di teleriscaldamento a metano, gas che arriva da distantissimo e soggetto ai capricci nelle forniture di un mondo turbolento, quando invece abbiamo l'energia elettrica a portata di mano. Idem per gli impianti a biomasse, che non usano il legno dei nostri boschi scandalosamente in espansione (anche qui il riscaldamento ci mette lo zampino) e sempre meno curati, perché costa meno importare il combustibile ligneo dall'esterno. C'è poi tutta la questione dei risparmi energetici legati agli edifici non isolati come si dovrebbe fare: settore che si muove, ma senza quella velocità che i politiche virtuose prevederebbero per il bene del proprio portafoglio e della comunità. Pensiamo ancora alle auto diesel e benzina, che potrebbero essere in parte sostituite da motori che siano elettrici in toto o in parte secondo la tecnologia, ma i prezzi elevati delle vetture non vengono calmierati dal pubblico, come dovrebbe avvenire nel nome dei vantaggi ambientali e anche per liberarci dalla schiavitù petrolifera. C'è di peggio: il caldo scioglie anche in Valle d'Aosta il "permafrost" - il suolo dei climi freddi, perennemente gelato in profondità - e "mangia" i ghiacciai. Sulle Alpi si è passati dai 519 chilometri quadrati del 1962 ai 368 di oggi. Significa che abbiamo perso il quaranta per cento della superficie in cinquant'anni. Se ne vanno così riserve d'acqua ed una caratteristica paesaggistica peculiare delle nostre montagne, ed i crolli che ne conseguono saranno una croce in un territorio fragilissimo sotto il profilo idrogeologico e cresceranno dunque le zone a rischio per abitanti e turisti. L'inversione di tendenza o avrà un'afflato mondiale o le conseguenze saranno l'effetto pure locale di certa ignavia della politica che mette a rischio i nostri figli e nipoti. Ma certo anche l'agire localmente è un dovere, perché i massimi sistemi sono l'insieme di volontà personali che si sommano a quelle collettive dal piccolo sino ad abbracciare il nostro Pianeta tutto intero, arrivando di conseguenza ai massimi decisori. Questa è la sussidiarietà: fare quanto è per noi umanamente possibile al nostro livello e poi passare il testimone ai gradini successivi di potere (e di doveri), ma la scala la si può percorrere solo se è completa, altrimenti, qualora poggiasse esclusivamente sui gradini più in alto, sarebbe destinata senza base a crollare.