La politica valdostana assomiglia di questi tempi ad un pentolone in ebollizione, anche se non si sa bene chi e che cosa si stia cucinando. Con un'opinione pubblica - quella che resta - sempre più attonita e disamorata da certi tanghi col casqué con ballerini che si prendono e si mollano. Non sono pessimista per partito preso, ma perché talvolta mi sembra che tanti segnali preoccupanti vengano snobbati o per disinteresse o per ignavia. Così mi sfuggono totalmente le dinamiche politiche che si stanno delineando per il governo della città di Aosta, dopo il voto che ha messo in minoranza il sindaco renziano Fulvio Centoz, che non si capisce più se sia una nuova stella del firmamento della politica valdostana, come pareva, o una meteora destinata a schiantarsi in piazza Chanoux.
Il fatto che l'Union Valdôtaine, l'azionista di maggioranza dell'Hôtel de Ville, abbia, con un singolare gioco delle tre tavolette, sfiduciato il sindaco, votando con le opposizioni sul discusso e ambiguo megabando per il servizio per gli anziani, non è altro che l'ennesima dimostrazione della via crucis del primo cittadino venuto dalla Val di Rhêmes. Un oggetto misterioso sin dall'inizio del suo mandato, dopo essere stato scelto e imposto dal vicino Palazzo regionale, dove si sono fatte e disfatte le alleanze aostane in logiche solo parzialmente comprensibili. C'entrano appunto i disegni del presidente Augusto Rollandin e certi patti con Matteo Renzi, quando il leader fiorentino emergeva come figura solida di riferimento dalla palude della politica italiana. Poi non si sa bene come sia andata: chi dice che Centoz sia andato troppo a ruota libera, senza ricordarsi della curatela cui era sottoposto e dunque si è rotto il legame fiduciario segnando il suo destino e chi invece dice con brutalità che Centoz non ce la fa proprio, prendendo una cantonata dietro l'altra, segnando così la fine imminente del suo mandato. Ma i sussurri e le grida sulle vicende di Aosta si insinuano nelle vie e nelle viuzze che dal Comune portano alla Regione, riprendendo di nuovo corpo il tam tam di riunioni segrete (si fa per dire), di conciliaboli e camarille che ineriscono il presente e il futuro delle alleanze regionali, che ci hanno abituato a "salti della quaglia" di vario genere, dunque mai dire mai. Chissà poi se certe voci di cambiamento, se non di golpe, sono vere o finte e come si incrocino con possibili elezioni anticipatissime per la città di Aosta, che certo ha il motore ingrippato ed il grippaggio è ormai evidente anche in Regione, come si evince dal complesso della manovra finanziaria senza soldi e - peggio ancora - senza progettualità. Ci sono questioni che si possono capire solo vivendo e le continue fibrillazioni sono comunque il segno evidente di grandi manovre per gli assetti della politica valdostana di domani e sono molti a ritenere di avere i numeri per affermarsi sulla scena. Ma sono più i pretendenti di quanti siano i posti apicali e almeno per ora l'«andiamo a comandare» è per molti solo la hit estiva di Fabio Rovazzi e dunque siamo fermi alla strofa «Col trattore in tangenziale (Andiamo a comandare)». In questo clima - e purtroppo c'è poco da sorridere - i problemi restano irrisolti e si accentuano le difficoltà e Aosta e la Valle intera sembrano precipitare con velocità sempre più in basso in un clima di impoverimento e di incertezze. Mancano idee e progetti e questo clima di sfiducia intacca la sostanza dell'autonomia speciale, che sembra segnare il passo non solo per gli attacchi esterni che si moltiplicheranno, ma per una profonda crisi interna nelle istituzioni democratiche, di cui pochi dei decisori sembrano essere realmente consapevoli. Se non si svolta davvero, in una riflessione ampia e consapevole, c'è seriamente da preoccuparsi per un futuro segnato dall'arretramento e dalla mediocrità.