A me certa aria mefitica mi far star male e mi domando, come valdostano, che cosa si possa fare per reagire con forza a questo lento sprofondare nelle sabbie mobili. Scrivevo cinque anni fa e per fortuna questo mio Sito ha memoria: «Non possono esistere margini d'ombra sulla presenza e sulle interazioni della 'ndrangheta in Valle d'Aosta, perciò è bene capire che cosa sia successo. Non si tratta di drammatizzare, ma semmai di avere una mappa chiara su affari e appoggi. Vedremo, a questo proposito, gli esiti della Commissione speciale del Consiglio Valle e certe audizioni con Forze dell'ordine e magistratura confermano sin da ora che non si può far finta di niente e certo e anzitutto, spetta a chi deve indagare sugli aspetti penali intervenire laddove necessario». Ora - al di là di riscontri già emersi a suo tempo in Consiglio Valle - sembra aprirsi, con la recente inchiesta, qualche porta rimasta chiusa troppo a lungo e che, in fondo, dimostra che su rischi di infiltrazione c'è chi vide molto lungo tanto tempo fa.
Scrivevo allora: «Mio zio Severino Caveri, a metà degli anni '60, con espressioni che oggi potremmo bollare come "politicamente scorrette", denunciò in un suo articolo la "spinta" all'immigrazione calabrese voluta dall'allora segretario del Partito Socialista Francesco Froio, "paracadutato" in Valle per pilotare in parte la fine della "Giunta del leone" ed il cui curriculum negli anni successivi, anche recenti, è illuminante. Quel che preoccupava mio zio, che bollare come xenofobo è ridicolo per chiunque legga l'insieme dei suoi "scritti umanisti", erano i metodi che c'erano dietro questa scelta». Froio, morto poi nel 2013, quando lasciò la Valle operò su Torino e sulla Val di Susa. Riferendomi all’intuizione di mio zio osservavo: «Il tempo gli ha dato ragione: ad una vasta immigrazione onesta e ormai integrata con cui ho rapporti di amicizia e stima da anni (lo preciso per evitare le strumentalizzazioni, magari proprio da parte di amici dei 'ndranghetisti), fa da contraltare una parte pur circoscritta che invece ha aderenze con la malavita organizzata in un'attività ormai bicefala fra Calabria e Valle d'Aosta (con legami con il resto del Nord). Far finta di niente sarebbe ridicolo e spero che prima o poi emerga - per un'elementare ragione di chiarezza - chi, nel mondo della politica, ha coltivato amicizie, cercato voti, compartecipato ad affari, creando un "ponte" pericolosissimo per il futuro della nostra comunità. Da questo punto di vista spero che si scavi nella "nuova" immigrazione, quella ancora in corso dalla Calabria in questi anni, che potrebbe aiutare in alcuni casi a mappare i link esistenti. Le numerose pubblicazioni sulle infiltrazioni mafiose in Regioni del centro-nord dimostrano come il fenomeno prima si radichi e poi si diffonda come un erba velenosa e infestante e di come, senza rapidità di risposta, gli esiti possano essere disastrosi. Specie se i metodi mafiosi finiscono per penetrare in profondità con un rischio di condizionamento delle decisioni politiche e amministrative, che poi - dovendo essere realisti - significano soldi e ancora soldi. Purtroppo sporchi». Ora parrebbe si scavi in profondità e senza guardare in faccia nessuno. Ne sono lieto e mi auguro che il diffuso pessimismo - motivato da tanti "omissis" del passato - che alcuni esprimono («anche questa volta non succederà nulla...») sarà smentito dai fatti. Scriveva Leonardo Sciascia ne "Il giorno della civetta", libro del 1961: «Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia... A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma... Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già, oltre Roma...». Cinquantasei anni dopo si scopre che, come avvenuto in molti Paesi del mondo e non solo in Italia, la più aggressiva, la più vincente è stata invece la 'ndrangheta (la parola deriverebbe dal greco classico, da cui i dialetti calabresi sono fortemente influenzati, "andragathía, ἀνδραγαθἰα" traducibile con "valore, prodezza, carattere del galantuomo") per la solidità delle reti malavitose che crea. E mi spiace dire che la presenza, dal settembre del 2008, di un'immagine della Madonna di Polsi il 7 settembre, in occasione della processione di San Grato, Patrono della Diocesi di Aosta, sarà legittimamente vissuta da molti fedeli di origine calabrese come una presenza preziosa di un culto antico della Vergine, ma per altri - pur minoranza, ma infestante – quella Madonna ha un'importanza diversa, legata al Santuario dell'Aspromonte, punto di riferimento della 'ndrangheta, detta anche - pensate al paradosso - "Santa". Ha scritto il magistrato Nicola Gratteri: «si riuniscono a Polsi perché è il luogo sacro, il luogo della custodia delle dodici tavole della 'ndrangheta... perché la forza della Santa, rispetto alle altre organizzazioni criminali, è che fa osservare in modo ortodosso le regole». Chi in Valle si è legato mani e piedi con certi ambienti a metà fra superstizioni antiche e moderna imprenditoria delinquenziale dovrebbe anzitutto avere paura, oltre a fare schifo.