"L'ultima volta" assume, come tutto, colori luminosi o colori cupi. Penso - nelle tinte piacevoli - a momenti della vita, tipo i tabelloni della Maturità che sanciscono più di altro un passaggio nella propria crescita o, restando in tema, alla tesi di Laurea con cui si lascia l'Università. Lo stesso vale quando accompagni uno dei figli per l'ultima volta alle materne e ti accorgi poi, tappa dopo tappa, di come - scuola dopo scuola, mentre cresce come un fungo la notte - si allontani piano piano dal nido e dalle tue ali protettive. Ricordo l'ultima volta in cui ho usato il mio cinquantino ("Beta" rosso con carburatore da 20) e l'addio era compensato dalla mia "Vespa Primavera 125". Oppure passaggi tecnologici, tipo dal "Commodore" ad "Apple", dal "Nokia" all'"iPhone". Pure gli amori possono essere agrodolci: quando si vede un persona che si è amata per l'ultima volta e si sa che altrove si apre una stagione nuova della propria vita.
Mi viene in mente quella parte scanzonata del brano "L'ultima volta" dell'ultimo disco di Francesco Guccini, prima che si ritirasse. Ecco il testo: "Quando è stata quell'ultima volta che ti han preso quei sandali nuovi al mercato coi calzoni corti e speranza d'estate alla porta ed un sogno che più non ritrovi e quei sandali duravan tre mesi poi distrutti in rincorse e cammino quando è stata quell'ultima volta che han calzato il tuo piede bambino lungo i valichi dell'Appennino Quando è stata quell'ultima volta che ti ho vista e poi forse baciata dimmi adesso ragazza d'allora quando e dove te ne sei andata perchè e quando ti ho dimenticata Ti sembrava durasse per sempre quell'amore assoluto e violento quando è stato che finito il niente perché è stato che tutto si è spento non ha visto nemmeno settembre".
Ci sono, invece, ultime volte brutte. Quando lasciai la redazione di "Rta" e l'ultimo giorno era stato un horror vacui, ma poi entrai in "Rai" Mi è capitato quando ho lasciato Montecitorio e dunque il mare di cose interessanti che mi legavano al mio ruolo di deputato e lo stesso è valso per altre attività politiche successive segno - in verità sempre utile - della discontinuità.
E' tragicamente diverso e mai comparabile quando non rivedi più una persona cara e torni con la memoria al tuo ultimo giorno con lui, com'è capitato con mio papà e con altre persone che l'ineluttabilità della morte ci ha allontanato per sempre. E quel pensiero ti accompagna.
Ed è la seconda, intensa, parte della canzone di Guccini:
"Quando è stata quell'ultima volta
che hai sentito tua madre cantare
quando in casa leggendo il giornale
hai veduto tuo padre fumare
mentre tu ritornavi a studiare
in quei giorni ormai troppo lontani
era tutto presente e il futuro
un qualcosa lasciato al domani
un'attesa di sogno e di oscuro
un qualcosa di incerto e insicuro
Sarà quando quell'ultima volta
che la vedi e la senti parlare
quando il giorno dell'ultima volta
che vedrai il sole nell'albeggiare
e la pioggia ed il vento soffiare
ed il ritmo del tuo respirare
che pian piano si ferma e scompare".
Così la vedo - da questo punto di vista - la parabola di vita di chi si trova di fronte a due casi, che in questo periodo si mischiano in un pastone equivoco nel sottile confine fra la nostra esistenza e la morte che se la porta via. Un conto, infatti, è sancire una volta per tutta il sacrosanto diritto con l'eutanasia passiva di scegliere di far cessare ogni accanimento terapeutico, che siano artifici meccanici o medicinali specifici, per far seguire ad una malattia non più recuperabile il suo decorso naturale a fronte di una situazione vegetale (caso Englaro). Diversa è una procedura di eutanasia attiva, cioè una persona che viene aiutata con apposite sostanze a morire, perché ci sono ragioni che lo spingono ad una forma programmata e sempre consenziente di suicidio (caso Dj Fabo). Nel caso svizzero spetta proprio al malato terminale esprimere con un gesto finale questa sua volontà. Il primo caso è, anche con l'aiuto della scienza medica, del tutto lapalissiano e si tratta di seguire quel che capita in tutti i Paesi civili del mondo. Il secondo è più complesso, perché si tratta di fissare paletti e modalità che evitino il rischio di abusi, ma considerino in modo logico quei casi di fine vita che hanno una logica di approccio che ricordi la pietas e la compassione verso chi desidera anticipare un morte ormai ineluttabile. Ma in entrambi i casi non legiferare, come è avvenuto in Italia, dove pure esistono già ad esempio protocolli medici sanciti da apposite norme che indicano la morte cerebrale adoperati anche per la donazione degli organi, ha creato situazioni di incertezza e finiscono ormai per essere i giudici con le sentenze o i terribili viaggi d'addio in Paesi che si sono dotati di regole nel nome del Diritto.