Ho seguito di persona con viva attenzione la manifestazione, svoltasi ad Aosta, che "La Stampa" ha organizzato, in occasione dei 150 anni dalla nascita del giornale. Grazie alle doti di sintesi del vice direttore, Luca Ubaldeschi, anfitrione della serata, si sono susseguite - talvolta sollecitate dallo stesso direttore del giornale, Maurizio Molinari, tante voci in un clima festoso e soprattutto è stata presentata un'indagine su un campione di ottocento valdostani. Questo sondaggio d'opinione - rinvenibile sul sito del quotidiano torinese - ha presentato un'immagine piuttosto rosea del rapporto dei valdostani con la loro terra e con i problemi da affrontare. Non mi immergerò nel commento dei dati, perché per farlo bisognerebbe sapere un pochino di più su come è stato organizzato il lavoro.
A me quel che è interessato di più è stato l'agile dibattito, con diversi volti succedutisi sulla scena del teatro "Splendor" e non mi permetto naturalmente di dare voti sulle singole prestazioni. Diciamo che ci sono state cose che ho condiviso ed altre no. Ma se devo dire con franchezza quel che pensavo emergesse in modo più forte, rispetto a questo discorso generale e spesso comparativo con il Nord-Ovest di cui facciamo parte geograficamente, è il tema dell'Autonomia speciale e delle sue caratteristiche, a Costituzione e Statuto attuali, che è poi quell'elemento che ci differenzia dagli altri dal punto di vista istituzionale. Tra l'altro questo è anche oggetto di invidie, incomprensioni, pregiudizi proprio in questa nostra area viciniora in cui la diffusione de "La Stampa" è più radicata. Direi che l'unico che ha affrontato con sagacia la singolarità dell'autonomia valdostana, dimostrando un attaccamento affettivo verso la Valle che lo rende davvero un valdostano d'adozione, è stato l'economista Mario Deaglio. A dire il vero già il suo articolo sull'edizione ad uso della manifestazione era stato su questo molto chiaro. Ne riporto la parte iniziale: "L'autonomia valdostana non nasce, come molti credono, con la Costituzione della Repubblica Italiana: a metà del Cinquecento, il Concilio di Trento concesse alla Vallée di continuare a seppellire i morti sotto i pavimenti delle chiese, a differenza di quanto prescritto per quasi tutti gli altri Paesi cattolici, riconoscendo l'eccezionalità degli inverni valdostani che non consentivano sempre il trasporto delle salme dalle borgate alte ai nuovi cimiteri, solitamente più prossimi al fondovalle. Può sembrare una piccola cosa, è invece il segno del riconoscimento di una diversità, dietro la quale si riconosce un'identità fortissima. A conferma di questo riconoscimento, va ancora ricordato che, all'interno del Regno di Sardegna, la Valle d'Aosta conservò fino all'"unione perfetta" - realizzata nel 1850 con le riforme introdotte da Carlo Alberto - i propri ordinamenti e un notevole grado di autonomia. Tale autonomia fa parte della natura fortemente composita di una terra (pochi abitanti e moltissime "borgate", due lingue "nazionali" e due lingue locali, il patois e il walser) nella quale il contemperamento delle esigenze e il sistema dei pesi e contrappesi consentono, e al tempo stesso richiedono, un largo consenso popolare di fondo". Ma è nelle parole pronunciate in pubblico che Deaglio ha ancora più esplicitato come, per il nostro mondo della montagna e le sue particolarità che vanno al di là dell'aspetto linguistico emerso in realtà come problema solo con l'Unità d'Italia, abbia la necessità di un approccio autonomista - io mi permetterei, nel solco di un pensiero ormai antico, di chiamarlo federalista - di come la risposta a problemi immediati non possa venire da distante ma dall'intelligenza della comunità stessa per rispondere ai propri bisogni. Trovo che in sostanza questo sia il punto, il motore che anima ogni riflessione futura sull'assetto istituzionale della Valle d'Aosta, che deve mettere da parte elementi di divisione per trovare tratti comuni per giungere alla fine - ma il presupposto giuridico è una formula d'intesa con lo Stato (siamo in fondo la stessa Repubblica...) - ad una riscrittura della nostra Costituzione regionale (si usò nel 1948 il termine Statuto per non fare confusione), che tratteggi poteri e competenze, diritti e doveri e meccanismi istituzionali con grande chiarezza. Altrimenti l'obsolescenza dello Statuto attuale, malgrado sforzi che io stesso ho fatto di modernizzazione del testo statutario e di aggiornamento con l'uso delle norme di attuazione, rischia di farne una sorta di Sfinge ormai datata e lentamente degradata dall'azione del tempo e da chi l'attacca o peggio non se ne cura.