A me la malavita organizzata fa paura, perché è come un cancro che insinua le sue metastasi e certe presenze diventano letali anche per la comunità più sana che esista. Per questo crea molti e inquietanti interrogativi l'assassinio in Spagna del "valdostano" Giuseppe Nirta, un pregiudicato da tempo segnalato come la punta dell'iceberg della presenza della malavita calabrese in Valle d'Aosta e ciò in contatto - a dispetto di logiche apparentemente tribali - con le ramificazioni nazionali e internazionali di questa associazione criminale spietata e pericolosa. Mi è venuto in mente sul delitto quel detto usato dalla 'ndrangheta: «Davanti alla gran curti non si parra, pochi paroli e cull'occhiuzzi 'nterra, l'omu chi parra assai sempre la sgarra! Culla sua stessa lingua s'assutterra».
Traduzione: «Davanti alla gran corte non si parla, poche parole e con gli occhi rivolti verso terra, l'uomo che parla troppo sempre sgarra! Con la sua stessa lingua si sotterra». Ancora di recente nell'inchiesta che ha colpito l'ex pubblico ministero Pasquale Longarini e l'imprenditore campano Gerardo Cuomo - il più forte in Valle nelle forniture alimentari - si era segnalato da parte dei magistrati proprio un legame con un'attività imprenditoriale di Nirta in Spagna, ora teatro del delitto. E' probabile che i giudici stiano scavando in queste e in altre implicazioni (anche se Nirta non potrà più dire nulla...) e da tempo si vocifera negli ambienti giornalistico di svolte imminenti e forse clamorose di quelle vicende. Vedremo cosa capiterà. Resta sul tema infiltrazioni mafiose la questione in Valle non banale per un suo aspetto simbolico di celebrazioni, legate anche ai festeggiamenti del Patrono della Diocesi di Aosta, della Madonna del Santuario di Polsi, cui sono legati una devozione e riti di iniziazione dei 'ndranghestisti. Osserva, infatti, l'associazione antimafia "Libera" che questa celebre Madonna dell'Aspromonte non è solo un simbolo di fede, ma anche - e la cosa è nella storia - la madonna di fronte alla quale si giura fedeltà alla 'ndrangheta e dove le famiglie mafiose si ritrovano per il loro malaffare, ormai holding economico-finanziaria in tutto il mondo, Valle d'Aosta compresa, come dice chi se ne intende della materia. Sarebbe bene forse, rispettando la religiosità popolare "buona", capire se questa presenza in Valle non sia foriera di questioni occulte allarmanti di cui - noi e il povero San Grato - potremmo fare volentieri a meno. Scrivevo nel 2012: «Oggi in Valle d'Aosta la comunità più numerosa - le stime che ho letto parlano di trentamila persone fra vecchia o nuova immigrazione - è la comunità calabrese o forse sarebbe il caso di usare il plurale, distinguendo reggini e cosentini perché sono loro che lo fanno. Ricordo il libro di Giuseppe Ciardullo (con qualche dato dell'esperto Francesco Calvanese), di cui avevo scritto la prefazione, che era un misto fra aneddotica e storia dei "calabresi valdostani" che hanno contributo al benessere della Valle e in gran parte vivono con grande equilibrio la loro duplice identità. Sarebbe, tuttavia, ipocrita non segnalare l'esistenza di qualche preoccupazione, di attualità di questi tempi. C'è qualche soggetto singolo o qualche clan familiare che risulta da tempo collegato alla 'ndrangheta (la mafia calabrese) e da decenni nei rapporti ufficiali si parla di un impegno necessario per evitare che fenomeni sporadici si radichino con conseguenze gravi per la legalità». Ora, a tanti anni di distanza, non vorrei che quello "sporadico" fosse un aggettivo troppo accomodante e che una rete di interessi si fosse stabilizzante anche da noi con scelte sull'economia locale inquinate del malaffare con una Valle quale base logistica per far rifugiare latitanti e trampolino verso Paesi vicini come la Svizzera. Scrivo tutto questo con un senso di ribrezzo e di paura. Penso a quanto hanno scritto Nicola Gratteri ed Antonio Nicaso in un loro libro: «Da organizzazione criminale globalizzata, la 'ndrangheta è divenuta un "brand", un marchio, che vede nell'adattabilità e nell'affidabilità i motivi principali del suo successo. Una holding del crimine che vive protetta, quasi rinserrata nei legami di sangue, ma che è riuscita anche a cogliere in anticipo su governi e grandi corporation multinazionali il trend della globalizzazione. High tech e lupara». Nel caso italiano, a rendere l'intreccio ancora più complesso, va ricordato - come esito dell'ultima Commissione d'inchiesta sul caso Moro - come il giorno del rapimento, il 16 marzo del 1978, in via Fani ci fosse presente nei luoghi anche l'esponente della 'ndrangheta Antonio Nirta, nipote del celebre capobastone...