E' passato quasi un anno dal terribile terremoto che investì l'Appennino centrale e che nei mesi successivi vide ulteriori gravi scosse con lo sciame sismico. Alla commozione solita e di maniera, ma con l'impegno di non dimenticare, sta ora subentrando lo scandalo per quanto non fatto e i ritardi pesano moltissimo sulla credibilità dello Stato. C'è davvero da essere indignati per quanto sta accadendo o meglio non sta accadendo, perché la ricostruzione langue, imprigionata da una burocrazia lenta e forse corrotta. Un pezzo importante sconta sulla propria pelle la distonia fra "effetto annuncio" e cruda realtà quotidiana.
Ricordo come aveva ben espresso questo stesso timore, nell'ottobre scorso a fronte delle ennesime scosse, Mario Calabresi, direttore de "La Repubblica", che scrisse: «Una terra ferita che non può essere dimenticata, la spina dorsale dell'Italia che trema dal 24 agosto e ora rischia di finire inghiottita nella paura e nel disinteresse. Giovedì notte nessuno è rimasto sotto le macerie ma forse anche per questo i riflettori rischiano di spegnersi in fretta, lasciando gli sfollati lontano dalle case, i municipi e le scuole lesionati e pericolanti, le pievi, gli affreschi e i monumenti feriti e inavvicinabili. Questo territorio è parte fondamentale dell'identità italiana, non può diventare un buco nero da dimenticare, dobbiamo salvare le comunità, i paesi, il paesaggio e la storia. Dobbiamo metterli in sicurezza, intervenire prima che altre scosse possano rendere irrecuperabile un patrimonio su cui poggiano la nostra civiltà e la nostra cultura». E più avanti una preoccupazione evidente per chi abbia a cuore quella montagna appenninica già così terribilmente in crisi economica e sociale, ma anche con un rischio di svuotamento culturale in atto: «Se i borghi resteranno deserti, senza più nonni, figli e nipoti, le macerie accatastate e i turisti lontani allora saremo tutti più poveri e avremo perso un pezzo della nostra anima». Avevo ricordato allora Giovanni Lindo Ferretti, lo scrittore e cantautore della montagna reggiana dalla singolare parabola politica (da sinistra a destra) e umana: «L'Appennino è una montagna a dimensione umana: abitabile e abitato da così lungo tempo da essere, il lavorio dell'uomo nei secoli, parte sostanziale del paesaggio. Tanto geografia che storia. E' nella civiltà dell'abitare, nella coltura che ne ha determinato la cultura, nel racconto, in tutto ciò che colgono i sensi, che risuona la presenza di chi ci ha preceduto. Creazione e Creature trovano compimento e non ci sono morti alla fine del tempo». Sempre su "La Repubblica", ma nella cronaca giudiziaria, si legge ora: "Sotto la montagna di scartoffie che affoga la rinascita del cratere più vasto della storia d'Italia si è infilato, ancora una volta, il nemico numero uno di ogni ricostruzione trasparente. Il subappalto. Spuntano come funghi attorno alle commesse più sostanziose: il montaggio delle casette di legno, il trasporto delle macerie, l'esecuzione dei puntellamenti per tenere su quel che rimane dei palazzi devastati dal sisma. E proprio sui subappalti, da sempre l'anello debole sfruttato dalle mafie, stanno indagando l'Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone, le cinque procure territoriali e la superprocura Antimafia". E più avanti si aggiunge: "Eppure per le casette antisismiche lo Stato questa volta era partito in anticipo, per garantire una risposta immediata all'emergenza. Era il 2014 quando la "Consip", la centrale pubblica degli acquisti, bandì una maxi gara da 1,18 miliardi di euro e 18mila moduli abitativi per conto della Protezione Civile. Ad agosto del 2015 hanno aperto le buste e in due lotti su tre si è classificato primo il "Cns", il Consorzio che raggruppa più di duecento aziende nel settore dei servizi. Un mese fa i finanzieri del Nucleo speciale anticorruzione, su mandato di Cantone, hanno bussato alle porte delle sedi del Consorzio a Bologna e a Roma. Hanno preso contratti e documenti relativi a una fornitura pagata a due ditte di Terni, dall'importo tutto sommato modesto ma di cui non riescono a capire il senso". Il proseguo è il solito racconto di malaffare, che dimostra come sul dopo terremoto, che non ha funzionato malgrado le rassicurazione e i pianti sulle macerie di quasi tutte le autorità possibili, che accende un faro anche su "Consip", la nota centrale acquisti della pubblica Amministrazione italiana. Per l'ennesima volta si dimostra che la nascita di un organismo super centralizzato, per risparmiare e per controllare la regolarità degli appalti, rischia poi di essere luogo dove prosperano i traffici, ancor di più del precedente modello decentrato. Morale: i ritardi della ricostruzione sono gravissimi e non si vede la luce. L'occasione poteva essere interessante - e lo scrive chi da sempre si è occupato della montagna italiana - per sviluppare un modello futuro per l'Appennino e per quelle zone colpite dal sisma, già provate da uno spopolamento e da un impoverimento economico che faceva già prima impressione. Ed invece per ora tutto tace e le promesse sono rimaste tali.