Scrivere di Autonomia valdostana è doveroso. Anche se ogni tanto mi sento come un testimone di Geova intento a suonare i campanelli per fare proselitismo, credo fermamente che sia legittimo e necessario per una piccola Valle alpina rivendicare spazi di autogoverno sulle cui ragioni e ampiezza si può e si deve discutere. Il passato consente di valutare bene le esperienze già vissute con i loro pro e contro. I "pro" più forti stanno nelle condizioni difficili e talvolta misere delle vallate alpine laddove non ci sia stata l'Autonomia speciale, che non a caso viene rivendicata da zone come Valtellina o Bellunese, mentre basta fare un giro nelle zone alpine del cuneese e del torinese per capire come i modelli di sudditanza di fatto alla pianura attentano alla dignità dei montanari ed alla loro sopravvivenza.
I "contro" stanno nel fatto che l'Autonomia oggi è lacerata proprio in campo autonomista da divisioni difficili da sanare che la indeboliscono e anche dal fatto che affidarne le ragioni al solo fatto linguistico rischia di fare i conti con una realtà diversa da quella del passato. Nessuno deve rinnegare nulla sulle radici dell'attuale ordinamento valdostano, ma per dare il necessario vigore bisogna, senza pregiudizi, ragionare sui nuovi orizzonti dell'Autonomia senza tabù e incrostazioni. Giorni fa, ho sentito affermare l'esigenza di lavorare sul tema, pure da chi avversò il breve cammino della Costituente per una nuovo Statuto, di cui io stesso staccai la spina quale coordinatore del bel gruppo di lavoro che creammo non molto tempo fa per l'assenza di reali volontà generali nel crederci: mi riferisco allo spirito costituente. E stare lì ad occuparsene, senza vederne successivi sviluppi, sarebbe stata un'umiliante perdita di tempo, anche se lo scrivo con dispiacere e nella convinzione che in Valle d'Aosta ci siano le intelligenze e la passione che possono consentire di riflettere, sino all'adozione di un testo organico, sul futuro dello Statuto e sulla buona politica. Chi vivacchia nel presente status quo non difende un bel niente: basti pensare allo svuotamento in corso delle risorse finanziarie e una Regione Autonoma senza il denaro necessario per esercitare le proprie prerogative è come un veliero ormeggiato in una pozza d'acqua. La situazione di stallo, che è poi di fatto una progressiva regressione, pone un problema che va persino al di là dell'agenda politica carica di emergenze su cui ogni ritardo è una colpa. Mi riferisco alla duplice necessità di avere un impegno in politica di personalità valide sinora rimaste ad osservare gli eventi e dall'altra ricercare strumenti nuovi per far sì che certi argomenti - pane quotidiano per chi crede in un disegno autonomista - tornino ad essere oggetto di interesse dei valdostani (inteso come ius soli!), che sembrano guardare ai fatti politici con sempre maggior scetticismo. Sempre giorni fa mi sono sentito spiegare un profetico disegno futuro per la Valle d'Aosta con un singolare distinguo tra Politica e Amministrazione, come se si trattasse di una cosa diversa e l'azione amministrativa vivesse di vita propria rispetto ai meccanismi decisionali di una democrazia partecipativa. Così come, nella stessa circostanza, è parso di capire che su un dossier delicato per il futuro di una società pubblica - la famosa quotazione in Borsa di "CVA" - le decisioni politiche dovessero in realtà piegarsi ad inoppugnabili scelte tecniche di manager, cui i politici è bene che, per incompetenza, vadano al traino. Oggi sappiamo che agli opposti, ma che rischiano paradossalmente per toccarsi, ci sono proprio tecnocrazia e populismo. Ha scritto il politologo tedesco Werner Muller: «I tecnocrati dicono che c'è un'unica soluzione razionale a un problema, che al popolo piaccia o meno. Il populismo, che rifiuta l'opinione dei cosiddetti "esperti" offre un'alternativa uguale e contraria. Tecnocrazia e populismo hanno in comune il rifiuto della mediazione. E quindi, della democrazia».