Io penso nella vita tutto si fermi quando si finisce per guardare solo più al passato. Conosco persone che sono oggettivamente anziane, ma che non lo sono nei fatti per la semplice ragione che, pur in presenza di un indiscutibile dato anagrafico, sanno guardare avanti, consci beninteso che purtroppo esiste il tempo che passa e che la nostra condizione umana è sempre pencolante.
Così come esiste - all'inverso - la ben nota categoria di certi giovani-vecchi, bloccati fra passato e presente, vittime di una sorta di "fatica di Sisifo". Ricordate forse l'episodio della mitologia greca con Sisifo condannato a trascinare un enorme masso lungo un ripido pendio di una collina per farlo rotolare dall'altra parte ma, ogni volta in cui giunge in prossimità della cima, il masso, come se fosse spinto da una forza avversa, rotola nuovamente a valle. Così a Sisifo - senza prospettive future se non la ripetitività della pena - tocca ricominciare da capo in una sorta di inquietante fissità.
Lo stallo, insomma, così negativo come la condizione precedentemente evocata del rischio di ancoraggio al passato con i suoi rimpianti. Condizione quest’ultima che Giorgio Faletti, comico dalla profondità di scrittore, così evocava: «Il presente a volte può essere un pessimo ambiente se arredato con i residui di un passato difficile da dimenticare». Così sembra essere lo stato della politica valdostana, che non riesce più a guardare avanti, avvolta com'è da una rete fittissima e implacabile di vicende di vario genere che imprigionano ogni visione futura e far piazza pulita da certe incrostrazioni, come condizione sine qua non per ripartire, è un esercizio pieno di difficoltà. Chi evoca astrattamente il "confronto" mi fa venire il latte alle ginocchia specie se annodatori di matasse, così come quelli che si menano botte senza limiti in favore del pubblico, proprio come capita ai burattini in certi spettacoli per bambini. Un saggio mitteleuropeo come Claudio Magris così esplicita una condizione che dovrebbe essere, allo stato, un buon viatico: «La vita può essere compresa solo guardando indietro, anche se dev'essere vissuta guardando avanti – ossia verso qualcosa che non esiste». Questo equilibrismo fra un passato da non dimenticare e un futuro da costruire, avendo ben salde le gambe e la testa nel presente, assume il valore di una sfida capitale. E lo è in fondo per la visione che della Valle d'Aosta si ha da parte di chi qui ci abita e da parte di chi, dall'esterno, ci guarda. Ho vissuto anni - ecco il passato! - in cui sembrava di viaggiare come dei razzi, in uno stato di perenne crescita e di un certo ottimismo interno, cui corrispondeva - dalla visuale dall'esterno - una viva considerazione di noi. Non che fosse frutto di chissà quale favorevole condizione astrale, ma era l'esito di un lavoro complesso di credibilità e di impegno, che dava equilibrio e serenità con l'ulteriore soddisfazione di un generale apprezzamento per quel che rappresentavamo. Poi, per una serie di circostanze per nulla casuali, la situazione è mutata e oggi regna un qual certo pessimismo, cui fa da contraltare il degrado della Valle d'Aosta per chi la guardi dall'esterno. Si volgarizza, dalle due visuali, con la fine dell'immagine - da me sempre aborrita, perché stucchevole e pure ridicola per un Paese alpino - di "isola felice". Anche se oggi possiamo scherzare, facendo buon viso a cattivo gioco, sul fatto che è sempre meglio - scusate la concatenazione di modi di dire - fare invidia che pietà. Ora siamo giunti ad un passaggio di cui i cittadini devono avere consapevolezza. Questo avviene in una grande confusione e in un grande affannarsi, soprattutto denso di riunioni su riunioni, sperando che resti tempo per altro. Mi pare che alcuni siano in buona fede e propongano di lavorare sul futuro della Valle d'Aosta. Ma certo c'è bisogno di competenza e chi ha dimostrare di non averle sarebbe meglio facesse un esame di coscienza e bisogna evitare metodi che siano frutto di déjà vu, sennò non saremmo giunti sin qui, tipo gli incendiari che cambiano idea secondo gli umori. Bisogna evitare l'effetto annuncio ed il rischio che la scatola poi resti vuota, guardando avanti e per farlo bisogna capire la strada e soprattutto quale sarà la destinazione e che cosa si voglia fare per i massimi sistemi e per le questioni quotidiane anche più minute. Personalmente credo che non si debba sempre partire da Adamo ed Eva, perché molte cose sono chiare. Dalle buone intenzioni (di cui però è lastricata la strada per l'Inferno) alla concretezza che tutti chiedono, senza la quale avanzano fantasmi e animali fantastici evocati da chi conta balle e fa come gli imbonitori che vendevano nelle piazza degli elisir di lunga vita fatti con acqua e zucchero. Vedremo da questa sorta di terra di mezzo che cosa sortirà: se si rimesterà acqua o si giocherà solo ad una sorta di "Risiko" in chiave elettorale, allora l'occasione non solo sarà perduta, ma quel che resta di buono sarà ulteriormente destinato a degradarsi. Pensa se non fossi ottimista!