Quando ho portato i miei figli in visita a Barcellona, città intrisa di una straordinaria cultura e di un popolo in cammino lungo la "Rambla" (secondo García Lorca «l'unica strada al mondo che non vorrei finisse mai»), ho ricordato loro quanto sia antica l'aspirazione della Catalogna ad una piena libertà. Vorrei, nel rispetto delle idee che matureranno in proprio, sappiano che questa è democrazia. Molte volte ho discusso con gli autonomisti catalani, in visita da loro o in incontri a Bruxelles, che per tradizione storica e "impronta" culturale e giuridica sono piuttosto sospettosi verso il federalismo, delle loro reali intenzioni. Nella gran parte dei casi, la logica era quella di vedere nella piena indipendenza il punto d'arrivo.
Il leader catalano, Jorgi Pujol, che in pieno franchismo venne in Valle d’Aosta in viaggio di nozze per conoscere il nostro Statuto d'Autonomia direttamente da mio zio, Séverin Caveri, ha detto una frase molto bella: «per Paesi come il nostro, l'isolamento è una grande tentazione. Peccato che non porti da nessuna parte, come dimostra anche la nostra storia, intrecciata a tre grandi culture, la cristiana, l'ebraica, l'islamica. Per questo mi sforzo di riconoscere nella globalizzazione non soltanto i rischi, com'è facile, ma anche le grandi possibilità». Un "grande vecchio" riesce, insomma, a vedere con lucidità, come stanno facendo anche in Scozia, di come certe aspirazioni non debbano mai essere passatiste e ammuffite, ma inserite in un processo di cambiamento, che pone in discussione - nei grandi rivolgimenti della Storia - la fissità degli Stati Nazionali come la conosciamo oggi, specie con la lente dell'Unione europea, che può essere d'ingrandimento per i piccoli popoli. Il dato politico di queste ore, non inatteso, è la sentenza con cui la Corte costituzionale spagnola all'unanimità ha dichiarato «incostituzionale» la dichiarazione di sovranità del Parlamento catalano. Secondo i giudici delle Leggi la Costituzione spagnola fissa che «solo il popolo spagnolo è sovrano, in maniera esclusiva e indivisibile». E, di conseguenza, «nessun altro soggetto o organo dello Stato, e nessuna altra parte del popolo può attribuirsi la sovranità. Nessuno ha il potere di rompere per sua volontà l'indissolubile unità della nazione spagnola». Insomma. Quando predicavamo il federalismo coi catalani (Pujol diceva, con sarcasmo, che «garantiva un caffè per tutti»), avevamo ragione perché solo il federalismo spezza la ferrea sovranità statuale, condividendo la sovranità fra diversi soggetti. La Consulta spagnola aggiunge che «una Comunità autonoma non può unilateralmente convocare un referendum di autodeterminazione per decidere», per cui questo pesa sul referendum per l'indipendenza dalla Spagna, che si sarebbe dovuto tenere il 9 novembre prossimo. A questo proposito il presidente catalano, Artur Mas i Gavarró, ha dichiarato che il «processo politico» in corso in Catalogna proseguirà proprio verso il referendum previsto per novembre. La sentenza pare abbia lasciato aperto lo spiraglio, ma anche questo non stupisce perché non vedo come si sarebbe potuto dire altrimenti, per possibili riforme costituzionali. Ricordo che, a sostegno di questo "braccio di ferro", dai sondaggi risultano favorevoli al referendum per il distacco definitivo da Madrid più del 75 per cento dei sette milioni e mezzo di catalani. Con una "force de frappe" di questo peso penso che non sarà una sentenza a bloccare il corso degli eventi.