«La fantasia distruggerà il potere ed una risata vi seppellirà!». Lo slogan sessantottino, già motto anarchico di fine '800 (pare usato come slogan dagli anarchici arrestati), venne all'epoca riesumato per la prima volta in Italia sui muri della facoltà di Lettere dell'Università di Roma, diventando virale e poi traslato infine come mot d'ordre - io c'ero... - del movimento del 1977. Penso a quei tempi con nostalgia, anche se poi a conti fatti le nostre "okkupazioni" erano davvero da balbuzienti della politica, ma sono storie memorabili di passione e di speranza. Ed è stata anche una palestra per imparare alcuni fondamentali, compreso il coraggio di esporsi, merce rara allora come oggi, quando certi passaggi diventano delicati e molti dapprima coraggiosi si fanno d'improvviso pavidi.
Anche se - è bene ricordarlo, pensando agli "anni di piombo" - ci fu purtroppo chi, anche fra miei amici, scambiò l'impegno politico con la violenza ed è per questo che sono ormai vaccinato contro gli estremismi di qualunque genere, che rendono irragionevoli e troppo propensi a prendersi sul serio. Il fondamentalismo o, se preferite, l'integralismo non hanno mai il volto sorridente di uno smile. Osserva, in un articolo su "Treccani" molto interessante e ricco di spunti, Giuseppe Antonelli, che insegna Linguistica all'Università di Cassino: «il tormentone è la vera icona linguistica della nostra epoca. Gli slogan politici si ripetono sempre uguali a sé stessi, con la stessa ossessività di quelli pubblicitari; i modi di dire (Bartezzaghi docet) ritornano nel discorso con la stessa ostinata frequenza di quelli delle canzonette estive. Il motivo è presto detto: come una goccia cinese, la ripetizione ottiene sempre il risultato desiderato; nel caso dei comici, fa ridere. Nel 2004 la fiera del libro aveva scelto come motto "ridere è una cosa seria"; oggi andrebbe aggiornato: "ridere è una cosa serial"». I valdostani sanno ridere? Io penso di sì e che ci sia un modo arguto - ben rinvenibile in certe combriccole da bar, dove si svolge una parte della vita sociale- che usano la battuta fulminante e lo sfottò sono la quotidianità. In barba a quell'immagine dei montanari tristi e solitari, raccontata da scrittori che non riuscivano a calarsi davvero nel milieu locale. Con Aldo Palazzeschi: «Il riso fa buon sangue, ed è il profumo della vita in un popolo civile». Figurarsi che cosa diventa con i "Social" che rendono infiniti i giri di battute ed i fotomontaggi che fanno ridere e irridono personaggi vari, creando un'onda d'urto un tempo impensabile ed efficace. Lo si è visto anche in quest'ultimo ribaltone di ribaltone al Governo della Valle, dove si sono osservati in certi dibattiti campioni di comicità che hanno colpito sotto la cintura (anche a me, ma sono corazzato!) e devo dire che davvero irresistibili sono stati anche alcuni difensori d'ufficio così goffi nelle loro uscite, spesso con espressioni linguistiche che fanno morire ogni volta di sincope un membro della "Crusca", da apparire grottesche figurine. Un esempio mirabile talvolta di "fuoco amico", che al posto di sparare all'avversario tirano una fucilata a chi dovrebbero invece difendere. All'origine del mio lavoro giornalistico, specie con il mio amico Massimo Boccarella nell'ormai scomparsa "Radio Tele Aosta", ci divertimmo per un certo periodo - con il vignettista Giorgio Sapegno - a tirare bordate a destra e a manca. A me valse la fine del rapporto di lavoro, ma fu un'esperienza indimenticabile e ricordo bene i due assessori regionali più furiosi e la loro furia corrispondeva al livello di comprendonio da oltretomba che avevano. Perché chi sa accettare lo scherzo sa vivere. Per cui - davvero! - come dimostra la bonomia dei proprietari di pompe funebri, che dev'essere un antidoto che deriva dal frequentare i morti che non possono più riderci su visto il contesto in cui si trovano, sarebbe bene relativizzare certi momenti della politica, quando lo sdegno sembra essere scarsamente avvertito da chi dovrebbe subirne gli effetti. Meglio, evocando il motto iniziale, usare la risata come vanga per la sepoltura. "Castigat ridendo mores" ("Correggere i costumi ridendo"): questa locuzione la si deve al poeta latinista francese Jean de Santeuil e dice come vizi e difetti umani - politica compresa - devono subire necessariamente il bagno dell'ironia e persino del ridicolo. Tragedia e commedia in certi passaggi si avvicinano così tanto da rendere indistinguibili i confini.
P.S.: A proposito di risate vorrei complimentarmi con qualche consigliere regionale della "nuova" maggioranza - a meno che non fosse una parodia dello "Charaban" - che se l'è presa con me ieri in Consiglio Valle. Coraggiosi a fare i gradassi non avendo in aula la possibilità di replica. Bravi, bella partenza!