Una decina di anni fa, di questi tempi, si discuteva della richiesta di due Comuni piemontesi - Noasca e Carema - di adoperare la norma costituzionale (articolo 132) che consente di passare da una Regione all'altra, transitando nelle loro aspettative di allora in territorio valdostano. Progetto che si arenò per via di una procedura oggettivamente complessa e per la contrarietà rispetto a questo spostamento del Consiglio Valle e pure del Consiglio regionale del Piemonte. Mi espressi già a suo tempo in modo critico su questo tentativo annessionista che aveva un fondo provocatorio: da una parte Noasca in Valle dell'Orco non aveva neppure un collegamento diretto con la Valle, viste le montagne che ci separano ed avrebbero obbligato gli abitanti a un lungo giro per raggiungerci; dall'altra Carema, pur confinante e con qualche ragione storico-linguistica per spostarsi di Regione, avrebbe innescato un processo infinito di aggregazione verso di noi di tutti i Comuni viciniori.
Si trattava, in tutta evidenza, di una scelta politica che mirava anche a rimarcare la differenza nelle disponibilità finanziarie fra le due Regioni, sia verso un piccolo Comune di montagna del "Gran Paradiso" (Noasca) sia verso un Comune canavesano di fondovalle (Carema). Oggi un'impostazione di questo genere non avrebbe più lo stesso appeal con una Valle d'Aosta che sembra non avere più quel fascino che aveva allora, sia in termini di stabilità politica, oggi soggetta a Governi cangianti nel giro di pochi anni, con rivolgimenti che fanno ridere per non piangere, sia in termini finanziari, perché se andrà avanti così le finanze regionali valdostane impoverite stenteranno a pagare le spese correnti e chiederemo noi di essere annessi da qualche parte... Ora su questi spostamenti da una Regione ad un'altra si discute parecchio per il fresco passaggio di un comune dal Veneto al Friuli-Venezia Giulia, avvenuto tra l'altro con legge ordinaria, mentre personalmente penso che ci vorrebbe sempre una legge costituzionale, quando il transito inerisce una Regione autonoma. Ad andarsene è stata - con grandi festeggiamenti popolari - Sappada, chiamata "Plodn" in dialetto germanico. Si tratta infatti di un'enclave germanofona di 1.300 abitanti, incuneata tra la Carinzia, il Cadore e le Alpi carniche friulane. Equidistante fra Belluno e Udine, per cultura, sentimento e tradizione i sappadini gravitano però con chiarezza sulla provincia di Udine, di cui facevano parte integrante fino al 1852. Sappada - per chi non lo sapesse - è una delle più note località sciistiche dolomitiche, una specie di "Cortina del Cadore", con gli impianti di risalita collegati alle piste friulane. L'accusa dei veneti, scornati dall'avvenimento temendo l'emorragia, visto che altri Comuni montani ambiscono ad andare verso il Friuli-Venezia Giulia o verso le Province autonome di Trento e Bolzano, è la solita storia ripetuta da sempre: se ne vanno solo per avere i soldi per il loro sviluppo turistico grazie agli aiuti pubblici delle Speciali «ricche e privilegiate». Basta fare un giro nelle zone dolomitiche per capire, invece, che lì i confini regionali sono stati tracciati con l'ascia e senza tenere conto delle affinità storiche e culturali delle diverse comunità alpine. Anche se è vero che la diversità di risorse crea squilibri evidenti fra zone omogenee resta certo che il Veneto, ora piangente per l'addio, ha comunque fatto una politica mediocre sulla propria montagna e - per fare un caso politico - ha sempre preso in giro le legittime e reiterate aspirazioni autonomistiche dei bellunesi, illusi ogni volta da promesse varie. Per cui è inutile recriminare sul caso di Sappada, dove il referendum del 2008 per lo spostamento aveva avuto il 95 per cento di "sì". E questo plebiscito è avvenuto con buona pace di chi, alla fine dell'iter faticoso e lunghissimo del distacco, ha avuto il coraggio di dire che questo referendum andava ripetuto per sicurezza... Resta il problema serio di avere una politica per la montagna. "Montagna", ripeto, visto che ora è stata annegata nel calderone confuso a uso fondi comunitari delle "aree interne" (definizione offensiva per le Alpi) o impiccata nella logica troppo vasta e dunque inefficace dei "piccoli Comuni" con una legge di principi senza risorse. Si tratta infine di capire che questo giochino periodico delle Regioni Ordinarie contro le Speciali si può risolvere solo entrando in una logica di federalismo a geometria variabile. Ma questa è altra storia.