Capisco che l'argomento possa apparire usurato, ma ci sono temi che rassicurano per la loro ripetitività. Sono come la "coperta di Linus", che il personaggio dei "Peanuts", stringeva a sé, come pare io facessi da piccolo con grosso coniglio di ruvido peluche di nome "Ciccio". E' più forte di me, ma quando arriva la neve mi tocca scriverne, a costo di tornare su luoghi ed atmosfere già descritti, perché si tratta di qualcosa che mi mette di buonumore, pur soffrendo di certi disagi come tutti, specie all'alba di questo lunedì. Perché poi, in fondo, la mia vita è fatta delle cose che racconto spesso qui. Tuttavia - al di là delle cose nuove - ogni tanto dal fondo di qualche neurone riappare qualche episodio che sembrava seppellito per sempre.
Così nelle scorse ore mi baloccavo in ricordi profondi attorno alle neve ed a quella gioia stolida per un fenomeno naturale, aspettando il suo arrivo, annunciato in modo insistente dalle previsioni del tempo con tanto di tabella oraria e quantità corrispondente in centimetri, come se si trattasse degli orari di percorrenza di un treno in viaggio. Arriva o non arriva? Avranno sbagliato e dunque niente "grande nevicata"? Non sarebbe la prima volta, pensavo ieri mattina con indignazione degna di miglior causa, pensando però a quanti condivideranno questo mio stesso sentimento. L'amore per la nevicata e l'attesa che arrivi è una patologia diffusa, curabile solo con il concretizzarsi dell'evento. Uno dei rari casi in cui - dovrebbe essere scritto sulle avvertenze - uno si sente davvero bambino, immaginando il paesaggio imbiancato, i vestiti adatti per la sortita fuori dalla casa, la neve che scricchiola sotto i piedi e certi riti obbligatori, come lo spalare la neve e ripulire la macchina. Poi ci sarà da accontentare il piccolo di casa che vuole giocare nella neve e costruire un pupazzo nella più classica delle immagini iconografica dell'inverno. La sua - del pupazzo di neve, intendo - è una vita grama: oggetto di mille attenzioni, forgiato e abbigliato con passione, si scioglie poi mestamente, perdendo l'iniziale splendore. Come lo descriveva Jacques Prévert nel suo "Bonhomme de Neige": "Dans la nuit de l'hiver galope un grand homme blanc. C'est un bonhomme de neige avec une pipe en bois, un grand bonhomme de neige poursuivi par le froid. Il arrive au village. Voyant de la lumière, le voilà rassuré. Dans une petite maison, il entre sans frapper et pour se réchauffer s'assoit sur le poêle rouge et d'un coup disparaît, ne laissant que sa pipe au milieu d'une flaque d'eau, ne laissant que sa pipe et puis son vieux chapeau...".
Intanto, tornando alla realtà e al paesaggio per ora spoglio della campagna valdostana di fondovalle, sono come un medico che ausculti un cuore con il suo stetoscopio e ne ascolto i rumori, steso nel mio letto senza poter scrutare dalla finestra. Il silenzio è un indizio: la nevicata assorbe i rumori e dunque si può interpretare. Le rare auto che passano sulla strada al mattino presto hanno però un rumore usuale e soprattutto - maledetta attesa! - non si sente lo spartineve con la sua lama che gratta sull'asfalto. Poi guardo dalla finestra: nulla, se non un grigiore carico di attesa. Infine arriva, come in una poesia di Emily Dickinson: "Era timidamente festosa era fittissimamente di sé sicura. Giacque in terra sui tetti e stupì tutti con la sua bianchezza".
Che poi a furia di evocarla è arrivata abbondante questa neve, caspita se è arrivata!