Tanti anni fa conobbi ad Aosta un giovane curdo, di cui non so quale sia stato il destino, e mi feci raccontare da lui - proveniente dalla zona occupata dai turchi - cosa avvenisse in quelle zone e successivamente ricevetti una piccola delegazione della comunità presente in Italia nel mio ufficio a Montecitorio e feci alcune iniziative parlamentari su di un tema, la "questione curda", piuttosto misconosciuto e lo è anche in queste ore in cui la Turchia conferma il suo volto feroce verso questo popolo. Altre iniziative le feci a Bruxelles, al Parlamento europeo, quando sembrava molto vicina l'adesione dei turchi all'Unione europea, oggi definitivamente accantonata e non solo per la evidente persecuzione verso i curdi. Eppure un territorio per uno Stato vero e proprio del Kurdistan esiste: sono i 550mila chilometri quadrati in parte della Mesopotamia, oggi divisi tra Turchia, Iran, Iraq e Siria. I curdi, popolo antichissimo e di montagna, sono fra i trentacinque e quaranta milioni, per la maggior parte di religione musulmana sunnita. Ma esiste un'enorme comunità curda in diversi Paesi del mondo, dov'è emigrata forzatamente, pur mantenendo una sua identità ed un legame con le comunità d'origine.
I curdi - che pure hanno un territorio ricco di risorse naturali, petrolio compreso e questo non è un loro vantaggio visti gli appetiti degli "occupanti" - hanno dimostrato la loro forza ed il loro coraggio contro i fautori della "Jihād" (parola araba che significa "esercitare il massimo sforzo"), che hanno creato uno Stato integralista islamico in Medio Oriente - oggi ridimensionato anche grazie ai curdi - con cui non solo attaccare il mondo con attentati criminali, ma anche regolare i conti nel mondo islamico, distruggere le minoranze linguistiche e religiose, specie gli odiati cristiani. In cambio del contrasto che i curdi hanno fatto e stanno facendo contro questo progetto pericolosissimo per il suo carico di violenza e di odio, la reazione dell'Occidente è penosa e vigliacca. Scrive oggi, senza mezze misure, l'editorialista del "Corriere della Sera", Angelo Panebianco: «Il mondo occidentale (Stati Uniti e Europa) non si è ancora accorto, a quanto pare, che difendere i curdi in Medio Oriente è nel proprio interesse. In politica internazionale, spesso, "ciò che è moralmente giusto" e "ciò che è politicamente conveniente" divergono. Quando ciò accade la convenienza batte sempre la giustizia: facciamo immancabilmente ciò che ci conviene anziché ciò che sarebbe giusto fare. Si può deprecare questa triste realtà ma non la si può cambiare. Esistono però anche situazioni in cui ciò che è giusto (dal nostro punto di vista, ovviamente) e ciò che è nella nostra convenienza, nel nostro interesse, convergono. Forse la difesa della causa dei curdi appartiene a questa seconda categoria. I fatti sono noti. I curdi sono stati fondamentali combattenti contro lo Stato islamico. Lo hanno combattuto perché non accettavano di finire sotto il suo giogo e per calcolo: volevano acquisire meriti davanti alla comunità internazionale allo scopo di guadagnarsi l'indipendenza politica. I duri colpi inferti allo Stato islamico negli ultimi mesi non lo hanno ancora distrutto ma lo hanno ferito a morte. Per conseguenza i curdi hanno perso valore e importanza per gli altri nemici dello Stato islamico. Per questo il vento è ora cambiato. E' in corso da alcuni giorni l'operazione "Ramo d'ulivo" lanciata dalla Turchia contro i guerriglieri curdi, alleati degli americani, dello "Ypg" ("Unità di protezione popolare") in Siria». Poi la spiegazione su cosa capiti sul delicato scacchiere della zona oggi più incandescente nel mondo: «I turchi considerano lo "Ypg" come la filiale siriana del "Pkk", il partito dei lavoratori del Kurdistan, lo storico nemico che il presidente-dittatore turco Erdogan combatte con ferocia da molti mesi entro il proprio territorio nazionale. Obiettivo dell'operazione "Ramo d'ulivo" è liberare la città di Afrin, ora sotto controllo curdo, in territorio siriano. Ma difficilmente le ambizioni di Erdogan si placheranno. Una volta avuto ragione dei curdi siriani i turchi potrebbero, prima o poi, volere colpire anche quelli irakeni. Con lo scopo di eliminare per sempre la possibilità che al confine turco si formi uno Stato curdo indipendente capace di attrarre anche i curdi di Turchia. Non mancherebbero i complici, ossia gli Stati che ospitano minoranze curde: Iran, Irak, Siria. Nell'operazione ora in corso Erdogan gode dell'appoggio dei russi. Gli americani, fin qui, hanno solo balbettato. Sono alleati dei curdi ma sono anche alleati (o meglio: credono di essere ancora alleati) della Turchia che è tuttora un Paese membro della Nato. Donald Trump sembra disposto, sia pure con titubanza e fatta qualche protesta di rito, a lasciare mano libera a Erdogan. Il presidente francese Macron ha protestato ma, nel complesso, sembra che per gli europei la questione curda sia priva di interesse. E' lecito domandarsi se gli americani (e gli europei al seguito) non stiano per commettere un errore permettendo ai turchi di fare i loro comodi contro i curdi. Un errore così grave da ritorcersi, in pochi anni, contro gli uni e gli altri». Le conclusioni sono cristalline e affossano definitivamente l'idea di una "Turchia europea": «La difesa dei curdi non è solo una questione di giustizia. E' nell'interesse degli occidentali. Per almeno due ragioni. I diplomatici sono spesso restii ad accettare le novità. Ma sul fronte turco la "novità" (purtroppo) c'è. Fin quando la Turchia era ancora sotto l'influenza dell'eredità di Ataturk, il fondatore della Turchia moderna, che egli volle europea, essa era alleata degli occidentali. Era un pilastro della "Nato", amica di Israele, desiderosa di entrare nell'Unione europea. Tutto ora è cambiato. La ri-islamizzazione della Turchia era cominciata da tempo, il contro-colpo di stato di Erdogan del 2016 ne ha solo accelerato i tempi: l'eredità di Ataturk è ormai in soffitta (si può consultare, su queste vicende, Marco Guidi, "Ataturk addio", "Il Mulino", in corso di stampa). La ri-islamizzazione del Paese ne ha anche modificato l'orientamento internazionale. Benché a Erdogan faccia comodo tenere il piede in due staffe (restare, al momento, nella "Nato") egli ha scelto, nelle cose che contano, di posizionarsi in senso antioccidentale. L'alleanza con la Russia è un tassello della sua nuova politica estera. Si ricordi che Erdogan ebbe un ruolo nel far nascere e nel sostenere lo Stato islamico. In questo momento, per giunta, l'operazione contro i curdi di Siria non è condotta solo da truppe turche e da mercenari siriani. Stanno dando una mano a Erdogan anche le milizie armate di Al Qaeda. Non si può restare a lungo con la testa sotto la sabbia. Bisogna prendere atto di ciò che è diventata la nuova Turchia. Occorre che essa si trovi finalmente a fare i conti con la fermezza (fin qui inesistente) degli occidentali. I dittatori, infatti, capiscono solo il linguaggio della fermezza. La seconda ottima ragione per difendere i curdi è che, in caso contrario, si manderebbe un messaggio demoralizzante a tutti coloro che in Medio Oriente sono impegnati, come i curdi, contro l'islamismo radicale tanto nella variante sunnita dello Stato islamico e di Al Qaeda quanto in quella sciita (Iran e i suoi alleati). La sfida islamista sia contro i non-islamisti del Medio Oriente sia contro gli occidentali non finirà con la sconfitta dello Stato islamico. E' probabilmente destinata a durare per decenni. Appoggiare e difendere i gruppi nemici dell'islamismo radicale è nell'interesse degli occidentali. Prima lo capiremo e prima ci troveremo a disporre di una strategia di contenimento del fanatismo». Brutta vicenda, che dimostra come il diritto internazionale - quando si parla di autodeterminazione dei popoli - sia fatto solo di norme prive di reale contenuto.