Era il 31 gennaio del 1948, settant'anni fa come oggi. Mentre ad Aosta si festeggiava, certo in tono minore rispetto all'attuale gigantesca Fiera, il nostro caro Sant'Orso nel Borgo della Veulla, a Roma veniva votato alla Costituente lo Statuto d'Autonomia della Valle d'Aosta. Nasceva, dopo un periodo transitorio dal 1945, la Regione autonoma Valle d'Aosta, anche se in verità questo avvenne un mesetto dopo con la pubblicazione sulla "Gazzetta Ufficiale" della legge di rango costituzionale, applicativa di quanto previsto dalla Costituzione repubblicana al suo articolo 116. Fu quello il punto d'arrivo di vicende secolari, in cui l'afflato autonomistico dei valdostani - o meglio delle sue élites politiche, corrispondenti ad un sentimento popolare - verso Casa Savoia e poi con il Regno d'Italia non si era mai spento, anche nei momenti più cupi del centralismo sabaudo e poi del baratro del Ventennio fascista.
Poche luci rimasero accese in quel periodo: un piccolo gruppo di esponenti della "Jeune Vallée d'Aoste" e poi molti esponenti della Resistenza, durante la quale si costruì una fitta rete di relazioni politiche in Italia ed Oltralpe per profittare del passaggio storico allo scopo di ridare una qualche dignità istituzionale, un ordinamento proprio, alla piccola Vallée. Non c'è certo lo spazio qui per dire quanto le speranze di stampo federalista della Valle d'Aosta vennero in parte disilluse con una montagna di attese che partorì infine un topolino, in barba alle molte promesse del periodo precedente e successivo alla Liberazione, quando moti di piazza e grandi comizi accompagnarono il cammino sfociato nel voto della Costituente, mentre il venir meno del "vento del Nord" in una politica italiana con troppi continuismi con il regime precedente pesava sui nostri destini in negativo, così come l'ostilità di parte della diplomazia internazionale che seguiva gli interessi di chi non voleva una Valle d'Aosta fortemente autonoma. La rabbia dei valdostani scemò per una scelta responsabile di lavorare nelle Istituzioni neonate e fra mille difficoltà - sia finanziarie sia di trasferimento di poteri - la Valle decollò in quegli anni cruciali del dopoguerra sulla spinta del "boom economico" e del "baby boom" che l'accompagnò. Guardando lo Statuto di oggi penso di poter davvero dire la mia, visto che le modifiche più importanti - attraverso il complesso procedimento di revisione dell'articolo 138 della Costituzione - le ho seguite personalmente negli anni della mia presenza alla Camera e nessuno può portarmi via questa paternità, perché scritta nero su bianco nei resoconti parlamentari, che sono quelli che contano, in un'epoca nella quale si preferiscono gli "effetti annuncio", prescindendo poi dall'esito conclusivo. Scorro così il nostro vecchio Statuto del 1948 con quegli inserimenti, spesso scritti di mio pugno su fogliettini volanti come emendamenti nella "Prima Commissione Affari Costituzionali" a Montecitorio. Sono in apparenza frasette con senso oscuro per i non addetti ai lavori, ma che hanno cambiato in profondità, migliorandola, la qualità del nostro Statuto. Fatto salvo l'evidente gioco di parole all'articolo 1, che si intitola "Costituzione della Regione" in senso costitutivo, mentre il titolo principale è - da definizione complessiva - "Statuto speciale" (oggi la chiameremmo "Costituzione regionale", ma venne chiamato "Statuto" come lo "Statuto Albertino" del 1948 per non ingenerare confusione), il cuore dell'Autonomia ruota attorno all'elenco di materie in cui la Valle avrebbe competenza esclusiva. Uso il condizionale perché in settant'anni molto in queste materie è cambiato: pensiamo alle modificazioni della società e dell'economia, ma anche all'ingerenza in certi settori della normativa europea. Ci sono materie che tramontano e poi ritornano, secondo il quadro della legislazione nazionale e la nostra capacità di legiferare in modo originale, quanto non sempre il Consiglio Valle ha saputo fare. Lo stesso vale per l'articolo successivo con le competenze integrative, che è come una miniera in cui saper scavare e talvolta lo si è fatto. Fra le novità, di cui dicevo, appare dalla riforma statutaria del 1993 la competenza esclusiva sugli Enti locali, che ha tagliato - specie per i Comuni - un cordone ombelicale con Roma in una materia molto importante. Essenziale, ma complicatissimo, è tutto il "Titolo III", che si occupa di "Finanze, demanio e patrimonio" con tutta la questione delle acque, compreso l'idroelettrico, il passaggio dei beni demaniali e anche il tema cardine in questo periodo di "vacche magre", ma lo fu anche ai tempi della "politica del rubinetto" quando i soldi arrivavano dal centro a seconda delle maggioranze regionali, dell'ordinamento finanziario, molto discusso alla Costituente. Meglio tacere sul "Titolo IV - Zona franca", tema inattuato a tempo debito ed oggi possibilità assai complessa da sfruttare, in chiave contemporanea, sapendo che vanno trovate strade originali e certo da patteggiare con Bruxelles. Sul Titolo successivo, "Organi della Regione", ha agito in profondità la riforma statutaria del 2001 (quasi in contemporanea proposi e ottenni di aggiungere "Vallée d'Aoste" in francese all'articolo 116), che ho seguito passo a passo senza mai perdere una virgola e che ha accentuato sulla forma di Governo e in materia elettorale ad ampio raggio le competenze regionali. Ricordo che una precedente riforma, da me proposta, già trasferì alla Regione la materia elettorale, sino ad allora in capo al Parlamento. Sulle lingue, "Titolo VI", sempre nel 1993 irruppe, con riforma costituzionale, quella riforma che mi stava a cuore con il riconoscimento della piccola comunità walser e del suo particolarismo. Importantissima fu poi, con la stessa legge costituzionale, la nascita della "Commissione paritetica" stabile con quel passaggio, nel nuovo articolo 48 bis che prevede non solo norme di attuazione dello Statuto, ma anche "disposizioni per armonizzare la legislazione nazionale con l'ordinamento della Regione Valle d'Aosta, tenendo conto delle particolari condizioni di Autonomia attribuita alla Regione" e dunque tutti i decreti luogotenenziali dal 1945 fino allo Statuto. Possiamo dunque dire che in tema di norme di attuazione c'è un "prima" ed un "dopo" nell'evoluzione dinamica del nostro ordinamento: dal 1972 al 1992 le norme di attuazione venivano, infatti, scritte da una "Commissione paritetica" nata ad hoc con delega parlamentare, da allora in poi ci sono stati una trentina di decreti legislativi, che hanno mutato il volto della nostra Autonomia, persino con la soppressione di organismi come la "Commissione di Coordinamento" ed il suo presidente che errano fin dall'inizio un vulnus nel nostro ordinamento.
Questioni complicate? Certo: la difesa dell'Autonomia ed il suo sviluppo prevedono studi ed approfondimenti, relazioni politiche e competenza, che non passano solo dai cervelli di consulenti e tecnici, ma anche i politici devono dimostrare di saper destreggiare la materia, altrimenti nelle lunghe discussioni necessarie si fa brutta figura e non si avanza.