Trovo una breve dell'ottobre del 1971: "L'amministratore delegato della "Società Pila", Lorenzo Ferretti, illustra il programma della nuova società "Alpila". Il programma prevede la costruzione, nella conca di Pila, di alberghi, strutture para-alberghiere e residenziali per complessivi 5.000 posti letto, con cinquanta chilometri di piste per lo sci. Il costo degli investimenti è valutato in 18 miliardi di lire. I principali azionisti della "Alpila" sono la "Fiat", la "Banca San Paolo", la "Cassa di Risparmio di Torino", la Regione Valle d'Aosta; vi sono anche alcuni azionisti francesi". Il mio vecchio amico Laurent, mancato da alcuni anni, per questa scelta di una stazione alla francese - partorita in primis dal grande architetto francese Laurent Chappis, uno dei fautori delle stazioni "ski total" - ruppe l'amicizia con mio zio Séverin Caveri, che lamentava questa scelta di cementificazione, di una costruzione "artificiale" che in inquinasse la straordinaria conca.
Fatto sta che l'opera fu parzialmente realizzata e sortì anche alcuni scandali: oggi la parte principale dell'ecomostro giace ancora lì e, al suo interno, funziona da molti anni il villaggio "Valtur", ridotto maluccio, anche a leggere le critiche feroci dei clienti sul Web. In questa fase, oltretutto, i fornitori non vengono pagati ed è l'ennesima crisi che si profila per questo club vacanze ben noto e importante per Pila. Scriveva cinque anni fa di questi tempi Francesco Turano su "L'Espresso": «L'Italia è un paese a vocazione turistica. Ne consegue che l'industria del turismo in Italia è una successione di disastri economici, crisi finanziarie e fallimenti. Qualche nome: "Cit", "Alpitour" e "Parmatour", precipitata nel crac "Parmalat". Tocca a "Valtur", adesso. La società della famiglia Patti è stata messa in amministrazione straordinaria e affidata a tre commissari nel settembre del 2011. Da allora, i suoi ricavi si sono ridotti di due terzi dai 180 milioni del 2011. I debiti, invece, rimangono lì, sopra quota 300 milioni di euro. La conclusione sembra segnata dopo un'avventura durata quattordici anni e vissuta all'insegna delle spese faraoniche, delle acquisizioni a prezzi insensati e di una logica imprenditoriale che doveva tenere buoni i padroni politici del momento. Lo Stato è entrato ed uscito da "Valtur" senza riuscire a raddrizzare la rotta, anzi, complicando la situazione in modo difficilmente riparabile. La crisi ci ha messo del suo ma, anche senza gli integralisti islamici e gli squali mangiaturisti di Sharm el Sheikh, il modello di business era all'insegna della missione impossibile. (…) Le aste per cedere il marchio sono state un disastro. La migliore offerta non arriva a un milione di euro ed è stata presentata da Luca Patanè, imprenditore milanese proprietario delle agenzie di viaggio "Uvet". Le concessioni, soprattutto le concessioni dei villaggi all'estero che danno i profitti maggiori, sono sfumate una dopo l'altra. Le nove strutture superstiti saranno messe all'asta dai commissari in una seconda fase, ma non bastano a coprire il buco. Tanto più che "Invitalia" ha staccato la spina. La società pubblica che dovrebbe sostenere gli investimenti nel turismo ha deciso di non acquistare il trenta per cento dei villaggi "Valtur" in Italia e all'estero. Più che un acquisto, si sarebbe trattato di un riacquisto perché lo Stato ha mantenuto una quota di minoranza nella società dei Patti dalla metà degli anni Settanta al 2001, tre anni dopo l'arrivo dei Patti. Il legame pubblico-privato è durato anche dopo sulla base di una scrittura privata del 2000 firmata dall'amministratore delegato di "Sviluppo Italia", Dario Cossutta - figlio del "ministro delle Finanze" del Pci Armando - trasmigrato nel private equity con "Investitori Associati" dopo la caduta del centrosinistra nel 2001». Avevo poi letto che "Valtur" era passato al gruppo "Orovacanze" nelle mani dell'imprenditore montenegrino Franjo Ljuljdjuraje, successivamente al finanziere Aldo Bonomi, lo stesso che aveva tentato la scalata al francese "Club Med". Così si esprimeva qualche mese fa la nuova manager del gruppo, Elena David con "La Repubblica": «Da un lato c'è il brand storico del turismo italiano da ristrutturare e rilanciare "perché era sceso un po' in basso" e progettarne lo sviluppo, impresa che richiede grande passione; dall'altro c'è un azionista di livello, "Investindustrial", che costituisce un forte fattore di attrazione. "Nonostante le difficoltà stiamo lavorando sodo ad un processo di riorganizzazione importante, per dare a "Valtur" il ruolo che merita nel panorama italiano". David ha salutato con soddisfazione l'operazione della "Cassa Depositi e Prestiti" che ha acquistato tre resort "Valtur", Marilleva, Pila e Ostuni, con oltre 25 milioni di investimenti, di cui la compagnia di Bonomi avrà la gestione per trent'anni. Secondo l'imprenditrice è un passo nella direzione di future collaborazioni tra istituti pubblici e privati nel settore strategico del turismo». Ricordo di avere letto che la "Cassa Depositi e Prestiti" era pronta anche ad investire parecchio nelle ristrutturazioni dei club, di certo indispensabile per Pila, segno che Bonomi aveva convinto. A distanza di pochissimo tempo la doccia fredda. Scrive in queste ore il sito "TTG", specializzato proprio in Turismo: «Con la procedura di concordato preventivo liquidatorio, di fatto, si avvia verso la chiusura l'epoca di "Valtur" sotto le insegne della "Investindustrial" di Andrea Bonomi. Ora, la questione da risolvere è il destino di una delle realtà più longeve del turismo italiano. Secondo quanto riporta "Il Sole 24 Ore", la stessa "Investindustrial" avrebbe precisato di voler procedere a uno spacchettamento. Ovvero, restituire alla proprietà oppure cedere i villaggi. Il quotidiano finanziario precisa anche che, per il momento, non ci sarebbe ancora alcun progetto per quanto riguarda il marchio». Ovvia la preoccupazione generale su Pila alla fine di un inverno con il boom nel villaggio "Valtur" e sarebbe interessante capire in questi decenni quanti soldi pubblici siano finiti nella società, compresi quelli più recenti.