L'altro giorno, a bordo pista, ho seguito con trepidazione la discesa del mio ultimogenito - il simpatico e chiacchierino Alexis - il più piccolo del suo corso nella gara di chiusura della stagione. Come un razzetto è stato vincitore assoluto ed il cuore di papà si è allargato a dismisura, impressionato anche dal fatto che lui sia passato dallo spazzaneve agli sci uniti in poche settimane. Quando scia con me, ormai anche sulla "nera" più ripida, non me lo scollo dalle code. Non avrei mai pensato - quando ricordo il mio di papà - quante tempeste ci potessero essere nell'animo dei genitori quando pensano ai propri figli e ne osservano la crescita, che come sabbia in una clessidra significa purtroppo il proprio invecchiamento. Ma questa è la catena della vita e non si ferma: ognuno di noi lascia in loro non solo un pezzo di "dna", ma anche parte della nostra formazione culturale e delle nostre caratteristiche umane, buone e cattive. Per altro la paternità, rispetto alla maternità, è una strana bestia, che cambia nel tempo con l'evoluzione dei costumi.
Credo che di mio papà si possa dire, essendo sempre assorbitissimo dal suo lavoro con orari astrusi, quello che osservava Umberto Eco: «Credo che si diventi quel che nostro padre ci ha insegnato nei tempi morti, mentre non si preoccupava di educarci. Ci si forma su scarti di saggezza». Questo per ribadire, con buona pace di molti "mammi" che vedo in giro spesso con atteggiamenti che fanno bonariamente sorridere, che la centralità della figura materna non è una balla, almeno per le mie generazioni. Certo guardando questo scricciolo, vestito come un diavoletto rosso, mi ricordavo tante cose del mio passato e anche questa storia dell'agonismo e delle competizioni. Credo di non essere particolarmente emotivo, ma una delle cose che più mi hanno preoccupato e, quando mi capita di fare una gara ancora oggi, è questo senso di angoscia, di sospensione del tempo che c'è al cancelletto di partenza di una competizione sci ai piedi. Non so quale trauma ho subito da un cronometrista, forse burbero, ma ogni volta mi rivedo piccolino con di fronte a me una pista ghiacciata e gibbosa: un vero incubo che mi fa mancare il fiato, prima del cimento sportivo, quando scoprivi - da bambino non proprio dotatissimo - che la famosa "ricognizione" - porta dopo porta - per memorizzare il tracciato era, per noi scarsi, un buco nero, quando si veniva inghiottiti da quei secondi di gara sino al traguardo. Nulla a che fare con mio fratello Alberto, che se non fosse stato per un problemino fisico, sarebbe arrivato chissà dove come sciatore agonista. Non so se lo Sport sia alla fine comparabile con la Vita e cioè se le competizioni sportive finiscano per essere una sorta di esercizio che, sin da bambini, ci permette di prendere le misure in altri settori che poi ci occuperanno da adulti. Certo è che per capire la sostanza della presenza del principio di concorrenza (gara, competizione fra persone che, aspirando a uno stesso scopo, cercano di superarsi a vicenda) l'esempio più facile sta proprio nell'esito e nelle trappole insite nelle competizioni sportive, compreso - scusate il cinismo - l'impiego del doping e di altri trucchi che possano in parte falsare l'esito. In Politica la concorrenza è importante e lo è anzitutto dentro i partiti e movimenti politici. In fondo le figure leaderistiche dovrebbero essere questo: un punto di riferimento di competenza e di comportamenti che aiutino tutti a crescere e questo vale anche per le figure apicali che devono essere capaci ad assorbire quanto di interessante proviene da tutti gli altri. Il Leader chiuso ed egoista, geloso e vendicativo non insegna le logiche di una concorrenza sana e può falsarla, ad esempio, con la scelta di circondarsi di yes-man, cioè di persone servili sempre pronte a dire di "sì" ai capi con un non richiesto entusiasmo. La concorrenza - senza farne un vangelo da ultraliberista, perché i danni ideologici sono evidenti - serve a smuovere le acque, a non mettersi in panciolle, a migliorarsi. Ed è un antidoto importante contro i rischi di chiusura, perché qui fuori c'è un mondo, non solo oltre la porta di casa, ma al di là dei tanti confini costruiti, che vanno oltrepassati anzitutto pensando ai propri limiti da superare e ciò avviene solo con l'attività difficile e stimolante del confronto.