Tocca ogni tanto analizzare i propri comportamenti ed è bene in certe circostanze farlo tout seul, per capire come butta. Nel mio caso poi non c'è davvero peggior giudice di me stesso e invidio chi si autoassolve con facilità. Certo è un periodo della mia vita in cui finisco per non avere mezze misure e non me dolgo. Per dire: mi commuovo facilmente e trovo che questo sia un sentimento molto umano. L'ultima volta è avvenuto sulla costa atlantica di fronte al racconto in un filmato della storia dei soldati americani - persone comuni - morte nello sbarco in Normandia. Oppure, dall'altro lato dei sentimenti, cerco di scherzare sopra gli eventi: "Castigat ridendo mores", tradotta letteralmente, significa: "corregge i costumi ridendo". Questa iscrizione, posta sul frontone di vari teatri è dovuta al poeta latinista francese Jean de Santeul ed è fonte di saggezza.
Ci pensavo rispetto ad un passaggio che si manifesta in campagna elettorale e su cui è facile dire che non si sa davvero se ridere o piangere. Si sa che riso e pianto sono le opposte reazioni dell'uomo di fronte a ciò che lo tocca, lo colpisce, lo sottrae all'indifferenza. E non si può certo essere indifferenti rispetto alla rincorsa parossistica al consenso, che rischia di creare situazioni in cui i programmi diventano libri dei sogni degni di certe rappresentazioni grottesche. Andiamo con ordine: "grottesco" viene da "grottesca", che così è nato, come ricorda la "Treccani": "Termine diffuso dal 16esimo secolo per designare un particolare tipo di decorazione parietale, derivante da quella analoga di ambienti della Roma antica (e in particolare della Domus aurea di Nerone), ancora interrati, che furono esplorati come "grotte" dagli artisti del Rinascimento. Motivo dominante sono forme vegetali di fantasia, miste a figurette umane o animali, per lo più immaginari, in composizioni capricciosamente bizzarre, con immateriali architetture e prospettive, eseguite a stucco o ad affresco". "Grottesco" è, di conseguenza, "tutto ciò che, per essere goffo, paradossale, innaturale, muove il riso pur senza rallegrare". C'è chi davvero in queste elezioni le spara troppo grosse ed è degno compare del celebre Barone di Münchhausen. Era lui il re delle spacconate del libro di Rudolf Erich Raspein, dedicato ad una ricostruzione-caricatura del nobile in carne e ossa, vissuto nel 18esimo secolo, che si divertiva a rievocare con gli amici le sue imprese, che erano panzane piene di verve. Ricordate alcune iperboli fantastiche? Era - sempre con la fantasia - capace di volare sulle palle dei cannoni, di uscire da una palude in cui è caduto afferrandosi per i capelli e tirandosi in su da solo. Navigava per mare e scopriva un'isola che sembrava l'albero della cuccagna, fatta di formaggio e cosa dire del luogo dove le spighe che crescono sono cariche di pane bello e cotto. Viaggiava sino alla Luna. La prima volta ci arrivava arrampicandosi su una pianta di fave e la seconda volta trasportato da un ciclone, con tutto il suo vascello e i marinai. Questo ridere "freddo" alla fine mi fa ragionare su di una necessità di evitare appunto che la democrazia diventi una burletta. Ci sono in Valle d'Aosta problemi seri e veri da risolvere senza inventarsi storie che debbano abbacinare, partendo dalle risorse economiche in caduta libera, alla reputazione a terra dell'immagine della Valle, ai poteri e alle competenze regionali "invasi" da Roma e da Bruxelles e potrei proseguire su questioni singole: dai trasporti alla sanità, dai bambini agli anziani, dal lavoro ai servizi sociali. Su questo bisogna confrontarsi, sapendo quanto è già difficile risolvere questioni concrete senza dovere inventarsi prodigi futuribili che paiono - con la crudezza della realtà - improbabili ectoplasmi.