Ci si chiede ogni tanto come fare per il futuro della piccola Valle d'Aosta. Trovo che, quando si è distanti geograficamente ed avulsi per qualche giorno dalla quotidianità, come avviene anche con una breve vacanza, si ottiene quella possibilità di ragionarci più a freddo. Forse questo è il senso profondo che porta a considerare quanto sia importante staccare ogni tanto la spina e guardare le cose con quella distanza che spesso è impossibile ottenere per il coinvolgimento emotivo che fa di noi esseri non solo raziocinanti, ma coinvolti in un intrico di sentimenti e di stati d'animo. Ma la freddezza di guardarci, come da spettatori esterni, serve a toglierci di torno elementi di disturbo nella riflessione.
Confesso, per altro, una qual certa stanchezza nel tornare su certi argomenti, come se si trattasse di un ticchio e di una forzatura della realtà di fronte ad un crescente disinteresse che striscia nell'idem sentire, in cui si agita sempre più un sottobosco di rancori e invidie, miserie e puntigli che allontanano dall'ottenimento di qualche certezza condivisibile senza la quale vale il vecchio motto "Divide et impera". Tradotto dal latino ("dividi e conquista"), ricorda - cito la "Treccani" - come la divisione, la rivalità e la discordia dei popoli soggetti, giova a chi vuol dominarli; attribuito a Filippo il Macedone, è stato ripetuto soprattutto con allusione ai metodi politici seguiti, nel 19° secolo, dalla casa d'Austria (ma anche Luigi XI di Francia usava dire «diviser pour régner». La Valle d'Aosta è un puntino sul mappamondo, eppure - per chi ci crede - questa piccola porzione di terra, cui corrisponde una comunità in crisi demografica e purtroppo identitaria, potrebbe essere luogo interessante per riflettere sulla democrazia e le sue difficoltà che oggi la mettono in ginocchio ovunque. Una taglia ridotta non significa affatto una diminutio della capacità di agire, anche se il clima generale - come dicevo - non è incoraggiante e si perdono con facilità certezze e punti di riferimento. Potrei, da questo punto di vista, elencare molte ragioni di preoccupazione, ma in fondo ce ne sono due che riassumono tutto. La prima è appunto esogena: reagire al "divide" su alcune questioni qualificanti che non possano consentire rotture e anzi consentano ricuciture, ma senza pensosi documenti degni del fantozziano urlo («Per me è una cagata pazzesca!») dopo l'ennesima proiezione del film "La corazzata Potëmkin". Non mi riferisco, infatti, a problemi di natura ideologica ma a questioni concrete, fatte da problemi da risolvere, per accrescere la qualità della vita dei valdostani e ridare gambe ad un'economia che langue e non alimenta di fiscalità quelle casse pubbliche che, al di sotto di certi livelli, fa sì che il modello di autogoverno si inceppi. Ma questo deve avvenire nel segno della competenza, perché troppo spesso si è scesi sotto il livello di guardia nella ricerca spasmodica non della qualità delle persone ma della quantità dei voti di chi poi, con incarichi pubblici, dimostra la propria inadeguatezza, che spesso sfugge non solo ai cittadini elettori ma persino a loro stessi. La seconda, endogena, riguarda una crescente attitudine colonialista verso la Valle, oggetto nella sostanza di critiche spesso ingiuste di chi sembra occuparsi metodicamente della presunta indegnità di essere depositari di questa famosa Autonomia. Pagine scure e persino ladrocini ci sono stati e nessuno difende l'indifendibile, ma non è giusto neppure generalizzare e distruggere tutto quanto fatto dal 1945 ad oggi, se non si vuole risalire molto più indietro alle sorgenti del pensiero autonomista. Colonialismo culturale e politico che agisce con facilità anche per colpa del processo di spoliazione dell'apporto di troppi giovani valdostani che lasciano la Valle alla ricerca di un lavoro, senza più rientrare. Paiono due punti semplici ma non lo sono ed è per questo che ci vuole cautela, visti i molti fallimenti registrati nel lavoro di ricerca di elementi comuni di rilancio, per evitare l'ennesimo flop, che sarebbe un ulteriore colpo - forse letale - alla speranza che la fiammella autonomista non si spenga. A meno che, mentre ci si affanna in varie cose, non sia questo il vero progetto distruttivo su cui in tanti lavorano da tempo, contando sull'apporto masochista dell'autodistruzione.