Se fossi nei panni dei rappresentanti del Consorzio e della Cooperativa della "Fontina" farei fuoco e fiamme rispetto ad un tema, il marchio "Prodotto di Montagna", che già era nato con eccessiva generosità verso i territori vicini alla montagna nella storica scelta - da sempre presente - di dilavare la "vera" montagna, allargando certi vantaggi alle zone viciniore, nel nostro caso subalpine in altri casi ai piedi dell'Appennino. Mi riferisco alla recente pubblicità del "Parmigiano Reggiano", che usa il messaggio ambiguo secondo il quale il formaggio si può fregiare del marchio "prodotto di montagna" (per altro con un marchio diverso da quello ufficiale!), sostenendo che il «prodotto che nasce solo sulle montagne della nostra zona d'origine». La pubblicità, su pagina intera del quotidiano, riporta la fotografia dell'astronauta Maurizio Cheli sul Monte Everest (accompagnato lassù dalla guida che lo ha allenato, il valdostano Marco Camandona), che è testimonial del prodotto e afferma nel testo che il "Parmigiano Reggiano" «vero è uno solo», un formaggio «che nasce solo sulle montagne della nostra zona di origine».
Sul tema ho ricevuto un'interessante presa di posizione di Marco Onida, valdostano d'adozione sulla montagna di Saint-Marcel, benché stia a Bruxelles come funzionario europeo. Già apprezzatissimo segretario della "Convenzione Alpina", Onida è uno che allo sviluppo montano ci crede davvero e non a caso segue dossier importanti come "Eusalp", la Macroregione Alpina. Così riassume le sue condivisibile preoccupazioni su questo messaggio pubblicitario, sulla cui base ha trasformato il commento negativo in una meritevole e fattiva segnalazione di pubblicità ingannevole all'autorità garante della concorrenza e del mercato: «Questa pubblicità del "Parmigiano Reggiano", apparsa su vari giornali nelle scorse settimane, ha giustamente (a mio parere) suscitato reazioni negative da parte di chi ha a cuore le terre alte e l'agricoltura/allevamento "eroici" da parte di chi ancora resiste, nonostante costi di produzione (specialmente da burocrazia) proibitivi. Il "Consorzio Parmigiano Reggiano", prodotto che, semmai, è identificabile nell'immaginario collettivo con la pianura padana (tant'è che il suo principale concorrente si chiama "Grana Padano") svilisce il senso del marchio di qualità "prodotto di montagna". Ma cerchiamo di fare un po' di chiarezza. La definizione di "zone di montagna" su cui si fonda il regolamento europeo alla base del marchio è piuttosto "generosa", e comprende "Le zone di montagna caratterizzate da una notevole limitazione delle possibilità di utilizzazione delle terre e da un notevole aumento del costo del lavoro, dovuti all'esistenza di condizioni climatiche molto difficili a causa dell'altitudine, che si traducono in un periodo vegetativo nettamente abbreviato; in zone di altitudine inferiore, all'esistenza nella maggior parte del territorio di forti pendii che rendono impossibile la meccanizzazione o richiedono l'impiego di materiale speciale assai oneroso, ovvero a una combinazione dei due fattori, quando lo svantaggio derivante da ciascuno di questi fattori presi separatamente è meno accentuato, ma la loro combinazione comporta uno svantaggio equivalente. In altre parole, il regolamento non definisce geograficamente le "zone di montagna", lasciando discrezionalità agli Stati/Regioni che lo attuano. Ora, è ovvio che, in termini di "svantaggi", le zone appenniniche delle province di Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna, nelle quali si trovano alcuni dei caseifici che producono il "Parmigiano Reggiano" non sono necessariamente comparabili con le zone dell'agricoltura "eroica" (specialmente delle regioni alpine); tuttavia, il Consorzio del "Parmigiano Reggiano" ha approfittato di una legislazione che permette di classificare come "zone di montagna" quelle da cui proviene parte della propria produzione. Ciò è, giuridicamente, legittimo. Tuttavia, la pubblicità in oggetto è palesemente ingannevole. E' lo stesso Consorzio, nel sito parmigianoreggiano.it ad indicare che sono solo alcuni dei caseifici ad essere certificati, perché ubicati appunto in "zone di montagna". Ma la pubblicità, invece, veicola il messaggio che il "Parmigiano Reggiano" come tale sia in ogni caso un prodotto avente le qualità del "prodotto di montagna", a prescindere dal luogo di origine, compreso quello proveniente da ambiti della zona di produzione diversi dalla parte appenninica delle suindicate quattro province». Oltretutto, a peggiorare le cose, il Consorzio ha usato un marchio "tarocco" e non quello sancito dal Ministero competente. Un pasticcio, che torna indietro come un boomerang per le zone davvero montane del Parmigiano!