La verità, che poi è un antidoto contro il rischio di sedersi troppo comodamente sulle proprie conoscenze acquisite, è che conviene scoprire cose nuove e metterle da parte. Per questo sono curioso e leggo tutto quel che mi capita e capita di scoprire qualcosa di ignoto, che ti smuove. Scorrevo il quotidiano francese "Libération" e trovo un titolo che mi colpisce "Pourquoi une famine peut arriver en Europe" di Gilles Fumey. L'inizio è evocativo e non capisco bene dove si voglia arrivare, partendo da una storia triste e ben nota: «Les contrats coercitifs qui lient les producteurs à la grande distribution sont-ils comparables aux traités de commerce entre l'Irlande et l'Angleterre au moment de la grande famine de 1845? L'histoire se répétera-t-elle? Il y a plus de 150 ans, en Europe du Nord, la pomme de terre a été une bénédiction».
«Délivrant les paysans irlandais des affres du climat - continua Fumey - le tubercule assurait une telle prospérité alimentaire que la population doublait en quarante ans! Mais les Irlandais (catholiques) devaient toujours payer le loyer aux propriétaires landlords (protestants) anglais. Les monocultures devinrent la règle. Le malheur arriva où on ne l'attendait pas. Le mildiou, un parasite Phytophtora infestans, provoque en 1845 l'effondrement de près de moitié de la production. Pire: les exportations vers l'Angleterre ont été maintenues alors que les populations crevaient de faim. Les convois de pomme de terre étaient escortés par l'armée jusqu'aux ports, même lorsque les paysans pouvaient payer leur loyer». Si scopre che l'evocazione dei fatti serve come ammonimento attuale, legato ad un personaggio per me ignoto così presentato: «(...) le premier locavore de France, Stéphane Linou. Aujourd'hui, l'ancien étudiant de l'université de Toulouse devenu conseiller départemental de l'Aude, passe son temps à alerter que nous sommes aussi vulnérables que ne l'ont été les Européens de la grande famine dont le bilan s'élève à un million de morts à partir de 1845, dont une bonne part en Irlande». "Locavore"? Cosa vuol dire? Mi metto a cercare e con qualche difficoltà trovo sul "Messaggero" un articoletto recente di una docente ed esperta di inglese, che così spiega, Antonella Distante: «"Locavore" non è un animale, come potrebbe sembrare dal nome, ma una persona che mangia solo alimenti prodotti in prossimità della zona di residenza (entro i duecento chilometri) oppure addirittura che ricorre al cosiddetto "zero-mile food", ossia "cibo prodotto a chilometri zero". Si tratta di una parola composta da "local", locale, più il suffisso "vore" (che indica il concetto di mangiare, divorare di derivazione latina) ed in italiano è stata recepita come calco nella forma "locavoro". La parola viene utilizzata nel campo enogastromico ma viene allacciata anche alle politiche di tutela dell'ambiente nella cosiddetta "green economy", dal momento che le abitudini alimentari dell'individuo "locavoro" contribuiscono al rispetto dell'ambiente: consumando derrate provenienti da zone limitrofe, con minore impiego di mezzi di trasporto, viene favorita la riduzione della produzione di CO2 nell'atmosfera. Il fenomeno nel suo complesso è invece indicato con il termine "locavorism"». Ecco il menu appetitoso proposto dallo stesso Linou: "Feuilles de chêne, croquettes de boudin noir et copeaux de porc noir gascon en entrée, suivi d'un carré d'Agneau fermier du Quercy fumé au bois de genièvre, prune grillée, légumes racines du moment et compotée d'échalotes à l'eau-de-vie de genièvre, et en dessert Abricot rôti au miel et lavande, sorbet à la fraise. Le vin était, forcément, de Cahors". Cibi e bevande - con carni che farebbero svenire un vegetariano ed un vegano - ben rinvenibili nelle tradizioni del Sud della Francia in quella Regione oggi chiamata Occitanie e - per capirci - siamo dalle parti di Carcassonne. Conclude l'articolo di "Libération": «Avec l'opération "Je viens manger local chez vous", Linou prouve que manger local est moins coûteux que de passer chez les distributeurs dont l'abondance conduit au gaspillage, au supermarché et chez soi. La grande distribution joue d'une certaine manière le rôle des Anglais dans la famine irlandaise: en préemptant les récoltes qu'elle achète avec des contrats léonins à bas prix, elle affame ceux qui la nourrissent». Sarà pure esagerato, ma certo cibarsi (anche...) di prodotti locali, senza cadere in approcci autarchici e da solo autoconsumo che ci farebbero tornare a logiche del passato e ci priverebbero di alimenti essenziali per la nostra salute, sono una scelta positiva perché la filiera diventa tracciabile essendo corta, si fa girare l'economia locale fra agricoltura, trasformatori e commercio e si evita il rischio paventato, forse con esagerazione, dal citato militante "locavoro" su di una possibile carestia a causa degli eccessi di modernità.