Non ci sono storie, battute, distinguo che tengano nella vicenda dell'arresto, avvenuto in Bolivia, del terrorista Cesare Battisti, sprezzante protagonista di vicende legate al quel terrorismo di estrema sinistra, esempio tangibile di come - quando la violenza ci mette lo zampino - si generano dei mostri, che pensano di essere dei rivoluzionari. Anche per questo la spettacolarizzazione mediatica di questo arresto e del suo ritorno in Italia con meritevole velocità finiscono per infastidirmi, non perché si tratti di un epilogo giusto e da tempo atteso, ma semmai perché esiste sempre un confine fra rimarcare la bontà di un evento e la sua celebrazione e trasformarlo in un momento di eccesso propagandistico.
Comunque sia, non entrerò nel giochino fascismo-comunismo, che fa godere i benaltristi ef i garantisti secondo la loro convenienza: sono stato testimone perché ho vissuto in una generazione in cui gli opposti estremismi - oltre alla misteriosa "strategia della tensione" dello Stato - hanno insanguinato l'Italia e personalmente, avendo avuto anche amici che persero la strada nel grigiore fra militanza politica e gruppi violenti, non ho mai e poi mai pensato che ci fosse un peggio o un meglio ai lati opposti dello schieramento. Anzi, ho sempre trovato che ogni forma di visione politica acritica, fideistica, oltranzista si nascondono germi che creano pericoli e dolore. In questo ho sempre seguito da ragazzo con vivo interesse quel pacifismo e la "non violenza" dei radicali con le loro battaglie per i diritti civili, che sono le reali forme rivoluzionarie di un sistema. Questo modo di pensare, moltiplicato per quanto necessario, è quanto ha sconfitto davvero il terrorismo, infliggendo ai protagonisti di quella stagione non solo un marchio di ignominia ma anche una condanna della Storia ancora prima che da parte dei Tribunali. Ha scritto in un suo contributo Monica Lanzoni, nel ricordare la chiusura francese per certe estradizioni, le ragioni di fondo di questo comportamento: «Si on voulait fixer une date, un acte de naissance de ce qui a été appelé au fil du temps et non sans approximation, la "Doctrine Mitterrand", ce serait celle-ci: une matinée du juin 1981, un mois seulement après l'élection du premier président socialiste de la cinquième République. Les mots suivants, prononcés par le Premier Ministre Pierre Mauroy à la suite de la réunion du Conseil des Ministres, étaient adressés à Louis Joinet, magistrat et conseiller pour la justice et les droits de l'homme dans le cabinet du premier ministre: "Le président a décidé de ne pas extrader les Italiens, à la double condition qu'ils renoncent à la violence politique et à la clandestinité; propose-moi une stratégie". Cette première formulation décrit son caractère: il s'agit fondamentalement d'une initiative présidentielle, à caractère éminemment politique comme l'a souligné Jean Musitelli, alors conseiller diplomatique de Mitterrand et son porte-parole, et prévoyant de protéger des extraditions les militants italiens qui s'étaient réfugiés en France à la fin des années 1970. Les conditions établies par le plus haut responsable français pour l'octroi de cette protection, qui ont soulevé avec le temps des critiques et des malentendus infinis entre les deux pays, sont, selon Pierre Mauroy, essentiellement au nom de deux: la renonciation à la violence politique pour l'avenir et la sortie de la clandestinité. C'est lors de ses déclarations publiques que Mitterrand y ajoutera la volonté d'exclure de cet arrangement ceux pour lesquels des responsabilités évidentes et prouvées dans des crimes de sang étaient avérées. À partir de 1980, la France donna ainsi sa parole de ne pas livrer à l'Italie les exilés menacés d'extradition: cette "parole donnée" a ensuite trouvé sa traduction dans la presse sous le nom de "Doctrine Mitterrand", mais dans les faits elle n'a jamais constitué une doctrine. Aucun acte public ni aucune loi n'en a jamais fixé les règles, ce qui rend la condition des exilés concernés encore plusvague et indéfinie, car l'asile était susceptible de s'arrêter à tout moment. Plus que d'une loi ou d'une doctrine, il faudrait parler d'un "modus vivendi", d'une attitude particulière et d'une politique d'attention de la part du gouvernement français envers les ressortissants italiens». Ne hanno goduto sino a pochi anni fa ed esiste ancora una coda sia terroristi di destra che di sinistra, ma anche e purtroppo fra loro - contraddicendo un fondamento della "dottrina Mitterand" - ci sono anche persone che si erano macchiate di delitti certificati in regolari processi, come nel caso degli ergastoli di Cesare Battisti, per altro dimostratosi sempre reticente nell'ammettere le proprie colpe, evitando forme di sostanziale pentimento. Dopo gli intellettuali francesi che lo consideravano un giallista di nome e dunque imbevuto di logica maudit che facilitava perdono o smemoratezza, si misero politici (compresi quelli che definivano Battisti un «compagno»), intellettuali della solita fatta e pure giudici brasiliani - Paese dove Battisti fuggì dopo Parigi - ad operare micragnosi distinguo sullo status di Battisti. Fino al cambio di passo recente, pure per scarsamente nobili ragioni di politica interna, che hanno costretto Battisti alla fuga con tali e tante ingenuità da farlo arrestare, dimostrando il suo ruolo di killer di basso profilo più che di rivoluzionario di chissà quale spessore.