Seduto nel "Pronto Soccorso", aspettando gli esiti laboriosi di una frattura di mia madre (nel frattempo già operata al femore con grande efficacia), guardavo a questo mondo dolente, cui non so come facciano - meritoriamente, beninteso - i medici e gli infermieri ad abituarsi. Mai avrei potuto fare una professione sanitaria, specie laddove regna il dolore e quella attesa sospesa di sapere gli esiti diagnostici dei propri problemi di salute. C'è di tutto in attesa, compresi molti sciatori stranieri vittime di incidenti sciistici, ognuno viene catalogato con i codici che scandiscono la gravità della malattia. Ogni tanto si avverte come l'arrivo di un'ambulanza scuota questa logica scadenzata in cui ognuno segue la disciplina imposta.
Oltretutto la Valle d'Aosta è davvero un piccolo mondo antico, fatto di una rete di conoscenze più fitta che altrove, com'è normale che sia in una comunità ristretta. Per cui ritrovi amici e conoscenti in attesa come pazienti o parenti, scambiandosi le rispettive informazioni e le frasi fatte di queste circostanze con quel fatalismo che caratterizza certi momenti della vita. L'ospedale di Aosta - di cui seguii tra l'altro il delicato passaggio fra l'antico proprietario, l'Ordine Mauriziano (mio nonno ne fu amministratore negli anni fra il Venti e il Trenta del '900), e la Regione - è una struttura piccola ed è sempre stato modello di efficienza, di cui oggi si avvertono delle crepe su cui bisogna lavorare in fretta, perché la sanità deve rimanere un caposaldo del Welfare valdostano. La malattia è una prova difficile: ciascuno di noi l'ha vissuto sulla propria pelle o su quella dei propri cari. Ci vuole poco a passare da una stato di benessere a situazioni difficili, spesso disperate. Il fatto che le malattie proprie e degli altri è non a caso un tema favorito di conversazione, come se già il parlarne risultasse come un elemento in qualche modo lenitivo. Ha scritto Susan Sontag: «La malattia è il lato notturno della vita, una cittadinanza più onerosa. Tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno della salute e in quello della malattie. Preferiremmo tutti servirci soltanto del passaporto buono, ma prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadino di quell'altro paese». Una questione che salta agli occhi, specie quando i propri genitori invecchiano e l'ho visto con il lento spegnersi di mio papà e con le incombenti magagne di mia mamma, è come il sistema sanitario e quello collegato dell'assistenza sia destinato a vivere il peso crescente dell'invecchiamento della popolazione. Una popolazione che superata una certa età diventa fragilissima, quasi inerme, in una regressione che pare talvolta un ritorno all'infanzia in un paradossale ciclo della vita, che mette tenerezza. E' un tema che cambierà l'approccio ed è argomento che seguo da anni, guardando con preoccupazione da tempo queste tabelle previsionali da piramide dell'età rovesciata che valgono per il mondo occidentale. La minuscola Valle d'Aosta è perfetta area test e solo l'Autonomia, politica e finanziaria, ha consentito di evitare quella desertificazione di servizi sanitari ed affini che ha colpito gran parte della montagna italiana. Questa logica che per me, nel mantenimento di un presidio ospedaliero e dell'organizzazione territoriale, a spese pressoché totali del Bilancio regionale, è eguaglianza fra i cittadini viene letta troppo spesso fuori Valle come privilegio. Questo venticello soffia sempre di più e si deve riflettere - sul terreno comprensibile del diritto alla salute moltiplicabile al resto di poteri e competenze di una Regione autonoma - ora ancor di più, quando si ipotizzano dal Governo e dal Parlamento senza nerbo meccanismi referendari semplificati per decidere. Visto che parliamo di malattie, questa logica di una democrazia plebiscitaria è una patologia grave, che Valle deve essere combattuta e non ha nulla a che fare - sia chiaro! - con i meccanismi referendari del federalismo svizzero. Si tratta, invece, di usare il referendum -appositamente con scarsi "quorum" - da agitare come asce dell'epoca delle caverne per farsi strada verso forme di potere rozzi e avvilenti.