Quando mi tocca esemplificare - con un esempio terra a terra - a che cosa serva l'Autonomia speciale della Valle d'Aosta, cito in primis qualcosa che ci tocca tutti: l'esistenza di un ospedale. Nelle vallate alpine della nostra consistenza numerica si sono chiusi, quasi dappertutto, ospedali analoghi al nostro. La ragione è la solita - e vale per gran parte dei servizi pubblici - e ruota attorno all'applicazione di principi di economicità nel rapporto fra strutture e abitanti che ne fruiscono. Applicato alla lettera, questo principio "economicistico" vorrebbe dire di fatto fare sparire la Regione e con essa - come le bamboline di una "matrioska" - tutto quanto essa contiene, compresi quei servizi dello Stato (pensiamo al Tribunale) che esistono perché siamo una Regione.
L'ospedale, dicevo, come caposaldo della Sanità che costa nel complesso oltre 350 milioni di euro alla Valle. In questi giorni ho dovuto frequentarlo per mia madre che si è rotta il femore, ma anche io periodicamente per me o per qualche familiare o amico ne varco la soglia. E' l'occasione, molto più delle tante carte che ho letto nella mia vita, per parlare con i medici e riflettere sulla struttura. I medici: senza citare pedissequamente molti comunicati del personale sanitario, che lamentano un declassamento di fratto della qualità dei servizi offerti dall'ospedale con interi reparti carenti di medici e di infermieri, l'impressione è in effetti - rispetto agli anni "buoni" - un senso di abbandono e di demotivazione. L'argomento non è semplice: non abbiamo mai voluto, a differenza di Trento e Bolzano che hanno competenza esclusiva sulla materia, affrontare il nodo di accompagnare alla spesa a nostro carico anche tutta la materia contrattuale ed in parte normativa in capo ancora allo Stato. Non basta attenuare l'impatto dell'esame di francese (che in passato non ha mai impedito l'arrivo di ottimi medici) per riavere iscritti ai concorsi andati deserti. Conta la "fama" dell'ospedale ed il senso che nell'ambiente medico si è dato di una decadenza rispetto ai fasti di un tempo. Certo, si è un contesto vasto con la follia all'italiana con numeri chiusi in specialità che finiscono per non fornire specialisti di alcuni settori e "quota 100" peserà sin dai prossimi mesi e si somma anche alle incertezze di governance con assessori e direttori generali che sono andati e venuti. La struttura ospedaliera: quando lasciai la Presidenza della Regione, dopo il fallimento del referendum regionale che mirava alla costruzione - mai saputo bene dove - di un nuovo ospedale al posto dell'attuale allocazione, mi trovai da chi mi seguì nel ruolo accusato - sempre nelle chiacchiere da bar - di non avere sveltito la costruzione della nuova ala dell'ospedale. Nacque dopo di me persino una società ad hoc che avrebbe dovuto garantire efficacia ed efficienza e soprattutto rapidità, che non c'è stata e oggi, al posto di quella nuova costruzione, c'è il cantiere archeologico, che è diventato l'alibi. Sul banco degli imputati potrebbe finire quel "guerriero celtico" rinvenuto durante gli scavi, che sposta al Nord l'asse del primo popolamento della Valle, ma che ha fruttato il vasto cantiere vuoto in queste settimane. Spero si faccia in fretta a decidere cosa fare, compreso uno sveltimento degli scavi, che offrono oggi - con quei pannelli di copertura che avvolgono l'area - una situazione di degrado da periferia di grande città. Resto convinto che ogni modernizzazione dello stabile attuale ed allargamenti necessari nell'area (il "Pronto Soccorso" fa veramente pena e sente il peso degli anni!) siano la soluzione giusta, perché partire da zero con un ospedale altrove sarebbe una follia in termini finanziari (penso anche alla durata dei cantieri che mai avviene nei tempi previsti) e chissà quali sistemi di collegamento richiederebbe per una città come Aosta che concentra residenti e valdostani nel proprio perimetro, consentendo un accesso a piedi all'area attuale. Centro-territorio: resta il dato essenziale di come evitare di concentrare troppo sull'ospedale (che deve essere unico, senza più il "Beauregard"!), sapendo come il numero dei posti letto sia cambiato, diminuendo, nel tempo con logiche di ricoveri brevi, privilegiando servizi di vicinanza nei confronti della popolazione. Sapendo che certe scelte, come l'elisoccorso anche notturno o l'impiego maggiore della telemedicina e di tecnologie digitali ulteriori, consentono di poter avere meno distanza con i malati. Chi crede nel federalismo o almeno nel decentramento non deve avere paura di fornire servizi sul territorio e neppure, all'esatto opposto, la necessità - per particolari patologie e discipline - aprirsi a collaborazioni con l'esterno, sapendo che esistono branche specialistiche che non possono essere presenti da noi. Questo vale anche per evitare di gravare sui costi, costruendo piccoli e costosi feudi ospedalieri in settori che non siano primari. Sono ragionamenti di tipo generale e dunque non esaustivi. Resta, tuttavia, la questione di fondo: la Salute è qualcosa che tocca prima o poi tutti e bisogna garantire livelli elevati se non si vuole finire come in aree marginali dell'Italia dove curarsi è un azzardo. Siamo per ora ben distanti, ma la discesa agli Inferi può essere rapida.