La tradizione è un'invenzione che nel tempo diventa solida ed in certi casi chi si trova ad averci a che fare non ha esatta consapevolezza da quanto esista. Ci pensavo l'altra sera durante una conferenza dedicata a "Montagnes Valdôtaines", l'inno ufficiale della Valle d'Aosta, che spunta nel "Chansonnier Valdôtain" nel 1912 su testo della poetessa valdostana Flaminie Porté (nota come "Sœur Scholastique") e che deriva da "Montagnes Pyrénées", scritta a metà ottocento da Alfred Roland, che fa del canto corale con cantori pirenaici un successo in tutta Europa. Il canto nella sua variante valdostana ufficializzato con legge regionale sulla simbolistica - da me fortemente voluta - nel 2006. Attraverso alcune peripezie la melodia passa dai Pirenei alle montagne valdostane e si cristallizza in tradizione.
Molto più complicata - e ben più profondo - è l'uso del leone rampante, che oggi figura dalla stessa data nella stessa legge appena citata, nel gonfalone ufficiale della Valle d'Aosta, che era già stato riconosciuto dall'apposita struttura della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Questo leone è una delle infinite varianti dei leoni dell'araldica e lo studioso Joseph-Gabriel Rivolin ha costruito un percorso affascinante che dal Medioevo ci porta sino ad oggi, mostrando come la tradizione cambi e si evolva, ma sembra ab origine lo stesso leone valdostano derivare dalla storica lotta fra Guelfi con l'aquila ed i Ghibellini appunto con il leone. Invece la bandiera valdostana rossonera, diventata ufficiale sempre nel 2006, è ancorata - al di là dei colori che si rifanno anch'essi all'araldica - alla storia contemporanea ed emerge dalla "Jeune Vallée d'Aoste" dell'Abbé Joseph Marie Trèves - amico della mia famiglia - e si incardina poi nella Resistenza e nei moti popolari di piazza del secondo dopoguerra sino a sfociare nella versione che oggi conosciamo. Oggi è indubbia tradizione ed anche ormai istituzione in senso proprio. In questi giorni di Carnevale esce un libro assai interessante del poliedrico studioso Alexis Bétemps con il suo "Les carnavals alpins en Vallée d'Aoste" (edizioni Le Château). Il suo approccio colto in materie a cavallo fra storia, antropologia, etnografia, linguistica apre uno squarcio interessante sui Carnevali più antichi, senza nulla togliere non citandoli a certi altri Carnevali novecenteschi a vocazione storica come, in ordine d'apparizione, Pont-Saint-Martin e Verrès. Spiega l'autore nella sua introduzione: «Le carnaval est d'abord une fête, c'est-à-dire un ensemble de réjouissances organisées par un groupe de personnes, dans un lieu déterminée, à une période précise de l'année. Actuellement, c'est une fête populaire et laïque. En effet, il n'est pas lié à aucune religion, qu'elle soit reconnue ou pas. Pendant des siècles, il a été mal toléré par la hiérarchie ecclésiastique et même par la société civile. Depuis une bonne génération, la fête du carnaval s'est affranchie de ses préoccupations à l'égard de l'Eglise». Anche se naturalmente lo stesso Bétemps ricorda come si inserisca in un ciclo che collega Carnevale (carnem levare...) appunto alla Quaresima e aggiungerei che lo sanno bene i nostri operatori turistici con i milanesi che, grazie al rito ambrosiano, spostano il Carnevale di una settimana. Nel libro, ricco anche di fotografie e non poteva essere altrimenti nello spirito carnevalesco che è fatto di molta immagine, si trovano tutta la cultura e la verve di Bétemps che attraversa le Alpi e non solo nel ricostruire il confluire di diverse storie e vicende che consentono nell'avanzare delle pagine di formarsi un'idea compiuta del variegato fenomeno del Carnevale, anche in una terra piccola come la Valle d'Aosta. Si scrive così, in chiave carnevalesca, una parte di storia valdostana, in cui regimi e costumi interagiscono con questo fenomeno sociale persistente anche nei momenti più difficili e ciò è legato proprio a quell'elemento di "ribellione" che il Carnevale incanala in festeggiamenti giocosi e spesso graffianti per l'aspetto irridente che da sempre esiste. Carnevali di paese, di montagna, di campagna fatti di costumi e giochi e soprattutto di maschere, tramandati - pensiamo alla Combe-Froide - di generazione in generazione. Ci sono storie di località come Cogne, Fénis, Verrayes, Ayas, Gaby. Si tratta di un percorso costruito con passione e dedizione, mettendo assieme tasselli diversi che offrono - a lettura conclusa - un'impressione da sempre segnalata. Di come un piccolo popolo come quello valdostano con un numero relativamente piccolo di località e vallate sappia, sullo stesso tema, proporre varianti così ricche. E la tradizione, che nasce dalle proprie ceneri con forme nuove e sorprendenti, non si ferma qui, essendo sempre in cammino.