Quante parole di questi tempi attorno al futuro della Democrazia: ognuno ha la sua ricetta e il suo modo di vederne il futuro. Personalmente resto un fautore della vecchia e vituperata democrazia parlamentare, la più "attaccata" in questi anni in Italia, malgrado di fatto la Costituzione sia rimasta - nella sua ossatura principale - quella risalente al 1948. Ma il vento dell'antiparlamentarismo ha soffiato violentemente in questi anni e l'impressione crescente è che ci fosse una logica brutale: buttare via il bambino con quell'acqua sporca che caratterizza purtroppo la politica italiana. Leggevo dell'ultima scelta negativa, inquadrata in un contesto più generale, segnalata da Sabino Cassese, mente lucida del diritto costituzionale e che riguarda un aspetto che personalmente vorrei segnalare in premessa: la progressiva riduzione del ruolo del Parlamento, non iniziata con il Governo Conte ma manifestatasi nel tempo in modo crescente, non vede nei parlamentari dei diversi Gruppi quella reazione che dovrebbe esserci, come se un progressivo addormentamento portasse ad una privazione di quei diritti che il Parlamento ha, Costituzione alla mano.
Scrive Cassese sul "Corriere della Sera" su di un nuovo attacco: «Il Consiglio dei ministri, nella riunione del 28 febbraio scorso, ha, in 58 minuti, approvato dieci disegni di legge che spaziano su due terzi della nostra legislazione e prevedono delega al governo del potere di modificarla. Dei dieci disegni di legge, uno è generale e riguarda una decina di materie. Le materie su cui è data delega al governo sono: economia, fonti di energia, governo del territorio, ambiente, cittadinanza, acquisto di beni e servizi da parte dell'amministrazione, corruzione, trasparenza, giustizia tributaria, tutela della salute, e si spinge fino a riordinare fiere, mostre, tarature e pesature. Gli altri disegni di legge sono, per così dire, particolari, e riguardano il codice civile, i contratti pubblici, agricoltura, turismo, disabilità, lavoro, istruzione e università, ordinamento militare, spettacolo e beni culturali. Su tutte queste materie, insomma, il governo potrà legiferare, una volta approvate le deleghe». Certo questa forma di delega c'è sempre stata, ma un uso così massiccio stride fortemente con le prerogative parlamentari. Prosegue Cassese, dati alla mano, sul ruolo del potere legislativo: «Contemporaneamente, l'Osservatorio della legislazione della Camera dei deputati ha fornito un calcolo aggiornato del numero delle norme con forza di legge emanate dall'inizio della legislatura (dopo le elezioni del 4 marzo dell'anno scorso) fino al 22 febbraio 2019, quindi in quasi un anno. Da esso si evince che, in questo periodo, sono state approvate solo ventinove leggi, di cui tredici sono di conversione di decreti legge del governo. Dunque, l'attività parlamentare si è ridotta a sedici leggi, molte delle quali di iniziativa governativa, che rappresentano poco più del quindici per cento della complessiva attività normativa (95 atti, che includono leggi, decreti legge, decreti legislativi, regolamenti di delegificazione). Se si considera che negli ultimi anni il Parlamento ha prodotto circa cento leggi per anno, si può dire che questo Parlamento ha ridotto la sua attività di circa due terzi, con una tendenza che solo in parte può spiegarsi con il periodo dedicato all'elezione dei presidenti delle Camere e degli altri titolari degli organi interni, e con quello dedicato alla difficile formazione del nuovo governo. Il consuntivo della legislazione nell'anno trascorso dalle elezioni politiche nazionali e il futuro che i dieci disegni di legge lasciano prevedere, sono segnali di una tendenza allo svuotamento del Parlamento, coerente con l'accento posto dal governo sulla democrazia diretta. L'intento di semplificare e codificare larga parte della nostra legislazione è meritorio ed è stato sempre auspicato. Ma il modo in cui ci si propone di realizzarlo è criticabile. Innanzitutto, per semplificare, si complicano le strutture: sono previsti una Commissione per la semplificazione, una riformata Unità per la semplificazione, un Comitato interministeriale, una Cabina di regia e apposite commissioni ministeriali. In secondo luogo, la semplificazione-codificazione avviene tutta per delega, con determinazione di principi e criteri direttivi molto generici. Questo è un ulteriore segnale della tendenza a far passare il Parlamento in secondo piano, perché così il governo avrà mano libera nel legiferare». La questione va seguita con attenzione e vigilanza, perché purtroppo una certa "morbidezza" della Costituzione vigente offre la possibilità di aprire varchi che in passato - penso all'abuso dei decreti legge - sono stati meritoriamente chiusi da sentenze della Corte Costituzionale. Cassese osserva in conclusione: «I Parlamenti hanno due compiti fondamentali: quello di dare al Paese un governo e di controllarlo, e quello di dettare le regole della comunità. Questi due compiti sono svolti in contraddittorio, perché è nel Parlamento che si svolge la dialettica maggioranza-minoranza. Il Parlamento italiano ha finora svolto poco e male il compito di controllo, ma ha mantenuto un saldo comando dell'attività legislativa, e, principalmente, è stato il teatro nel quale si è svolta la concorrenza tra le forze politiche, che rende il potere visibile all'esterno. Con la svolta iniziata lo scorso anno, la dialettica politica si è spostata prevalentemente in televisione e nelle piazze, e il Parlamento ha visto ridurre il proprio compito di legislatore. La riduzione continuerà, se saranno approvati i dieci disegni di legge di delega, e ci si potrà chiedere allora che cosa è restato al Parlamento, oltre alla funzione di dare e togliere la fiducia ai governi. Con quale spirito potremo festeggiare domani, 4 marzo 2019, il primo anniversario delle Camere elette lo scorso anno?». Ieri difatti non mi pare che ci siano stati particolari festeggiamenti...