Sono tornato volentieri a parlare al Forte di Bard del percorso che portò alla rinascita dell'antica fortezza, trasformandola da macchina da guerra ad officina culturale. Per anni ciò non era avvenuto perché avevo l'impressione di essere finito in una specie di blacklist di indesiderati. Ricordo la smemoratezza su di me in occasione del decennale dell'apertura al pubblico, per quanto fossi stato il presidente che l'aveva inaugurato ed aveva presieduto successivamente l'Associazione che ancora gestisce la struttura. Oppure - cito solo un altro caso - quando ci fu un convegno suoi walser e mi venne spiegato dall'allora "dominus del dominus" che non era prevista nessuna mia presenza, pur essendo il sottoscritto chi aveva previsto la loro tutela in Valle con modifica dello Statuto d'Autonomia, allargata ai walser delle vallate piemontesi con la legge di tutela delle minoranze linguistiche storiche.
Ho vissuto bene lo stesso ed il tempo è talvolta galantuomo, ma certo dire questa volta due parole sul periodo 1999 (data inizio lavori al Forte) e 2019 mi ha fatto piacere. Anzi, a dire la verità, questa questione ha confermato quanto ci siano tanti noi stessi che si sovrappongono secondo epoche e circostanze. Il Forte - l'autostrada in Bassa Valle venne aperta nel 1968 - era per noi bambini della motorizzazione del dopoguerra il passaggio obbligato con l'auto dei genitori. Dunque era ancora di più un simbolo dell'ingresso e dell'uscita dalla Valle. Per me all'epoca il rovello era perché Bard fosse una polveriera presidiata dai soldati e, invece, la fortezza di Verrès fosse vuota e senza militari. Scoprirò da adulto che nel 1661 il duca Carlo Emanuele II ordinò di smantellare gli armamenti e di trasferirli al forte di Bard, punto strategico dove si concentrava la difesa della Valle d'Aosta. Da giovane giornalista - cambio epoca - mi trovai dalla fine degli anni Settanta a seguire il Consiglio Valle e tornava spesso all'ordine del giorno la questione della cessione del bene alla Regione Valle d'Aosta, visto che nel 1975 i militari lo avevano lasciato ed il degrado aveva cominciato a manifestarsi con grande rapidità. Un punto di riferimento era a quel tempo il politico democristiano, Antonio Gullotti, che veniva in Valle perché la moglie era originaria di Roisan. Nella sua veste di Ministro dei Beni Culturali fece rifare una parte dei tetti in losa della costruzione proprio nel periodo in cui divenni deputato. Tre anni dopo, nel 1990, riuscii nell'intento di far trasferire il bene alla nostra Regione e da lì partì l'avventura della progettazione del nuovo utilizzo con lavori imponenti. Tutto nasceva dalla Politica regionale europea che la Valle d'Aosta seppe sfruttare, intervento su di una struttura impressionante. Ricordo le cifre nude e crude:
14.467 metri quadrati di superficie; 3.600 metri quadrati di aree espositive; 2.036 metri quadrati di cortili interni; 9.000 metri quadrati di tetto; 283 locali, 385 porte, 296 feritoie, 806 gradini; oltre 500 maestranze coinvolte; 153.737 metri cubi di terreno rimosso; 112.705 metri di cavi elettrici.
Ricordo di quei primi tempi, in cui si concepivano musei ed altre strutture, un aneddoto: quando convinsi il capoprogetto, Paolo Giunti, a visitare "Futuroscope" a Poitiers, nel cuore della Francia, perché si trattava, pur essendo un parco di divertimenti, di apprezzare quelle nuove tecnologie, oggi affermatissime, che svecchiavano l'approccio per così dire analogico con le allora nuove e ancora balbettanti frontiere digitali. Da parlamentare europeo portai diversi colleghi a vedere l'esito dei lavori e tutti lo considerarono un risultato straordinario con il fondamentale contributo dell'Unione europea. Ciò si rafforzò da presidente della Commissione del Parlamento europeo proprio nella materia della Politica regionale, vendendo l'erba dalla sue radici con tutti i problemi di questi aiuti comunitari. Già allora il tema della semplificazione, specie in rendicontazioni e controlli, era un punto importante. Mi pare che le cose da allora siano peggiorate anche in Valle: quando ebbi la responsabilità degli Affari europei come assessore, eravamo una Regione da record come capacità di spesa dei fondi comunitari, che rastrellavamo con capacità previsionale e tante idee. Oggi non è più così e sarà bene reagire e capire che cosa non abbia funzionato nelle scelte politiche e funzionariali, visto che le competenze dei singoli sono quelle che, messe assieme, danno i risultati del passato. Oggi sono troppo coloro che nel pubblico scansano i fondi comunitari per paura dei controlli (spesso risultati penalizzanti anche a livello regionale) e per le responsabilità da assumersi. Il che, in un periodo di vacche magre per le finanze pubbliche, è assurdo e inconcepibile. Da presidente di Regione, infine, ebbi l'onore di inaugurare il Forte, citando i predecessori in politica che se ne occuparono. Oggi il Forte vive un periodo di transizione e l'impostazione "no profit" vacilla nella complessa gestione di questo immobile straordinario. Occorre fare presto per evitare una crisi ancora più profonda. Infine, i contenuti. Bisogna evitare di seguire troppe piste culturali e mettere assieme proposte spesso distanti dalla vocazione iniziale del Forte: una sorta di contenitore che aveva una missione importante, quella di essere luogo di confronto e di dibattito sul futuro della Montagna. Mai come oggi il cuore del Forte dovrebbe restare questo.