Non stava bene in questi ultimi tempi, ma ancora di recente lo avevo visto battagliero come sul sempre, ormai alla soglia dei cento anni. César Dujany - ed è come se morisse un pezzo di me, mentre ne scrivo - ha attraversato il Novecento ed ha traguardato il nuovo Millennio con il piglio del montanaro deciso e con la schiena dritta senza mai mollare la passionaccia per la politica. Una politica impegnata e colta, ma senza mai lasciare da parte la semplicità del tratto ed una signorilità che veniva da un'epoca in cui la sobrietà e l'educazione erano importanti. Ma era in certe circostanze la sua una mano di ferro in un guanto di velluto, quando doveva difendere e spiegare le ragioni della nostra Autonomia ed affermarne i diritti.
Sapendo però che c'erano per contro dei doveri ed il primo, mentre discutevamo della deriva immorale e della povertà di valori di certa Valle d'Aosta odierna, è sempre stata la dirittura morale assieme alla necessità che l'Autonomia fosse studiata, compresa e profonda. La sua valdostanità era intensa, vissuta, direi scolpita in lui stesso. Aveva esercitato il potere ma senza mai dimenticare una dimensione di contatto con il suo popolo, conoscendo ogni zona della Valle e la genealogia di famiglie e comunità grazie ad una memoria prodigiosa che ha esercitato sino alla fine. In Parlamento mi prese per mano e nacque un'amicizia vera e sincera, che mi mancherà, ma gli prometto che quella sua caratteristica di vecchia pianta non ci ha lasciato per sempre. Nuovi germogli fioriranno nel suo ricordo. Adieu, César.