Mi tocca, grazie al mio piccolo Alexis, andare al cinema per vedere film per l'infanzia adatti ai suoi otto anni. Molto spesso, per andare a colpo sicuro, sono dei rifacimenti di vecchie pellicole, per quanto adeguate ai tempi. Così qualche giorno fa ho visto il remake di "Dumbo", l'elefantino che vola grazie ad orecchie spropositate. Era stato un grande successo, come cartone animato, nel 1941 e ora torna, con magie digitali, come fantasy della "Disney live action", diretto da Tim Burton. Alla critica il prodotto non è piaciuto un granché, mentre il pubblico in sala con me era letteralmente rapito, persino con accenno di applauso sui titoli di coda, dopo l'evidente finale gioioso e consolatorio. In epoca di orrori ci mancherebbe altro di non svagarsi per due orette come antidoto a quanto la cronaca ci propina!
Mi ha incuriosito tuttavia da dove arrivasse questa storia e ho trovato ricostruzioni illuminanti che disvelano una vicenda interessante e persino istruttiva. L'articolo più articolato è sul sito nonsoloanimali, da cui traggo alcuni spunti che mostrano come dietro la pellicola fantastica ci siano radici tratte da una storia dolorosa, che già - prima del film - era stata resa una sorta di favola gioiosa in un libro illustrato scritto da Helen Haberson nel 1939. Dovendo cominciare dal fondo, tutto finisce la sera del 15 settembre 1885, quando - siamo in Ontario in Canada - "Jumbo" (questo il nome vero della fonte d'ispirazione), elefante star del circo "Barnum & Baley", aveva terminato la sua esibizione serale e stava salendo, spinto dal suo domatore, sulla carrozza che lo trasportava in tournée. Un treno in transito investe il gigantesco pachiderma e lo uccide. Il sito già citato racconta così i suoi ventiquattro anni di vita: «La storia di "Jumbo" inizia nel 1860, al confine tra Eritrea e Sudan, dove è nato. "Jumbo" fu catturato dai bracconieri e alla fine venne venduto ad un commerciante di animali esotici che lo portò in Europa. L'elefante arrivò per la prima volta in uno zoo privato tedesco e poi venne trasferito allo zoo di "Jardin des Plantes" a Parigi. Nel frattempo, il sovrintendente dello zoo di Londra, Abraham Bartlett da tempo alla ricerca di un elefante africano per ampliare la sua collezione di animali da detenere allo zoo, lanciò un'offerta ai proprietari parigini di "Jumbo". Dopo lunghe trattative fu finalmente stipulato un accordo: "Jumbo" sarebbe stato scambiato con un rinoceronte, un canguro, un opossum, uno sciacallo, un paio di aquile e due dingo. Il giovane elefante fece il suo debutto allo zoo di Londra nel 1865 ma arrivò in condizioni terribili. Fu affidato a Matthew Scott, un addestratore di animali che sarebbe diventato il compagno violento di tutta la vita di "Jumbo". Scott scrisse nella sua autobiografia: «Gli zoccoli dei piedi e della coda erano letteralmente marci, e tutta la pelle era così coperta di piaghe, da poterlo paragonare alla condizione di un uomo affetto da lebbra»". Nei diciassette anni seguenti "Jumbo" diventa famoso, attira folle e trasporta nimbi sulla sua schiena. A me è capitato di andare a dorso di elefante in Thailandia e ho ben capito a quali fatiche possono essere sottoposti questi animali, specie se i ritmi diventano notevoli. Così "Jumbo" diventa sempre più aggressivo e questo innesca punizioni sempre più violente in un crescendo. Elefante ed addestratore si spostano nel "Circo negli Stati Uniti", dove "Jumbo" diventa altrettanto famoso, ma questa gloria corrisponde a sevizie vere e proprie, compreso «per calmarlo» l'uso spropositato di dosi di alcol. Dopo la sua morte, per un certo tempo, fu il suo corpo imbalsamato ad attirare gli spettatori e poi furono esperti a controllare il suo corpo e confermare quante ne avesse subito nella sua carriere apparentemente dorata. Naturalmente al piccolo Alexis non ho raccontato la storia vera di "Jumbo", così come trasformata nella storia dell'elefante volante che pare essere anche in linea con una favolistica asiatica, però - per noi adulti - resta nella sua validità questa differenza fra una cruda realtà e un suo disegno lieve e colorato di un "Dumbo" di cui ricordo bene il fascino della mia stessa infanzia, oggi trasposto in una storia romantica e a lieto fine. Senza un treno che spunta sui binari a rendere infine lieve la sua vita grama.