Non vorrei rischiare di assomigliare a Brontolo, il lamentoso borbottone fra i "sette nani", però ogni tanto mio domando se davvero si sia riflettuto a fondo sulla necessità - almeno per chi ci crede - di trovare occasioni per far capire il percorso dell'Autonomia valdostana. Il rischio evidente, che si palpa con nettezza in troppe occasioni, è che, per alcuni, questa benedetta Autonomia sia una sorta di oggetto sconosciuto, che fa parte della nostra vita come elemento scontato e non come faticosa e pure imperfetta conquista dei valdostani. La morte in culla della "Festa della Valle d'Aosta" è solo la punta di un iceberg, come dimostra in modo plastico anche la carenza di quella civilisation valdôtaine nelle scuole, che si accompagna ad una sorta di disinteresse sul tema per molti valdostani, che siano d'origine o d'adozione. Questa amnesia rende l'Autonomia come un elemento astratto, scritta in uno Statuto scarsamente conosciuto e in un ordinamento valdostano che sembra per alcuni come una presenza fantasmatica.
Ed invece - e questo mi spiace rispetto a certa desolazione - la storia valdostana è interessante e certi passaggi nel tempo danno con esattezza il senso delle sfide secolari di una piccola comunità alpina e sono snodi che si ripetono nel tempo. Se l'Autonomia, come desiderio di autogoverno che muta e si adegua a seconda dei regimi politici, è una sorta di desiderio recondito, va detto che funziona nella misura in cui questo meccanismo è dinamico e successi e insuccessi del passato sono lì a testimoniare come a tempi d'oro siano sempre seguiti tempi cupi. E la cupezza ha due padroni: il primo sono gli interventi esterni che condizionavano la vita locale, la seconda è in capo ai valdostani di tutti i tempi ed era la capacità di reazione (direi di "difesa/offesa", per capirci). Sugli elementi esterni, nel flusso della grande Storia, gli interventi non sono facili, ma conta molto - nell'impatto di quanto interviene - proprio la capacità si direbbe oggi di "resilienza", cioè di affrontare le avversità e superarle mantenendo un giusto equilibrio. Questi tempi non sono facili per il clima generale e ci sono responsabilità interne ed esterne che sembrano minare il sistema autonomista, mettere in discussione parti capitali dello Statuto, dimostrare un'incapacità di reazione di parte del personale politico, allontanare la popolazione dalla cosa pubblica, avere un'economia che arretra, innescare un meccanismo di pessimismo diffuso, frustrare ogni tentativo di adeguarsi meglio alla realtà. Ognuno può aggiungere o togliere questi elementi di preoccupazione. La cosa peggiore è fare gli struzzi con la testa nella sabbia o i sognatori con il capo fra le nuvole. C'è chi si lamenta dell'intervento delle diverse giurisdizioni, come se la Giustizia si accanisse scientemente, ma troppe storie - specie quelle di collusione con poteri mafiosi o di malaffare - turbano ed inquietano per profondità e ramificazioni. Ed ogni reazione, anche scomposta o sbagliata, è legittima, sempre che non intacchi la sostanza dell'Autonomia e quanto essa incarna, prescindendo dalle persone che hanno sbagliato interpretandola. Ma su questo, sia chiaro, come esista un legame che può essere luciferino fra elettore ed eletto, quando tornano nelle istituzioni persone che già hanno dato cattiva dimostrazione nel proprio lavoro da eletti a servizio del pubblico. Ma proprio l'evocazione di una coscienza di un flusso storico in cui siamo posizionati fa sì che trovi deludente l'insieme di manifestazioni che avrebbero dovuto ricordare le prime elezioni regionali dell'Aprile del 1949 e la nascita, con la prima convocazione un mese dopo, del primo Consiglio Valle eletto democraticamente ed il primo Governo Caveri dopo lo Statuto d'autonomia. In una situazione normale, senza cioè le turbolenze, i ribaltoni, le ribalderie di chi tiene sospesa la Valle ad un sottile filo di maggioranze risicate si sarebbe fatto di più e si sarebbe lavorato affinché quegli eventi di settant'anni fa rifulgessero in tutto il loro splendore, ricordando meglio le personalità del dopoguerra e gli eventi che prima e dopo marcarono quell'epoca cruciale. Ma in un fiorire di rinnovato "panem et circenses", cui si aggiunge il volto frivolo e minaccioso che emerge dai "social", "Vangelo popolare", forse evocare quei tempi avrebbe dato fastidio per l'evidente stridore fra l'impegno, la sobrietà e la cultura di allora e certe miserie e fragilità dell'oggi. Un'occasione perduta per i valdostani.