Ci sono fenomeni sociali e economici che mi incuriosiscono e mi stupisce leggere raramente di tentativi in ambito locale per affrontare emergenze che imbruttiscono l'immagine complessiva della nostra comunità, in piena contraddizione con la retorica della vivibilità per i residenti e di una forza attrattiva per i turisti che sono una risorsa importante. Dappertutto in Valle d'Aosta, dai paesi piccoli alla città di Aosta, stanno sparendo i negozi. Si tratta di un fenomeno visibile, esattamente inverso a quanto cominciò ad affermarsi dall'inizio dell'Ottocento la nascita di locali specifici con merci disposte in un certo modo con locali con insegne e vetrine. Per altro gli stessi "killer" dei negozi così concepiti, cioè i capannoni ospitanti commerci grandi e piccoli, stanno subendo una crisi e lo si vede bene nei Comuni che fanno da ingresso ad Aosta e nelle zone periferiche dei paesi più grandi. Nulla è eterno, perché cambiano gusti, modi e consumi. Chi avrebbe mai detto - solo per fare un esempio - che saremmo diventati in parte dipendenti dai corrieri che vanno e che vengono dappertutto con pacchi e pacchetti dell'e-commerce? Ormai qualunque cosa può essere comprata sul Web e con varietà incredibili nella scelta e tempi di consegna e di eventuale sostituzione della merce davvero impensabili.
Una delle soluzioni pare essere stata - ho letto di esperienze in Trentino - valorizzare i "temporary shop", di cui ho visto esempi ad Aosta, cioè negozi aperti a tempo per determinate vendite straordinarie. Se poi lo smercio funziona, qualcuno di questi esercizi può stabilizzarsi. Leggo un bando di Rovereto (ma nel sudtirolese Bolzano si sono anch'essi ingegnati) in cui si parla di "attività ammesse a 360 gradi: negozi temporanei, produzioni tipiche e design, spazi dimostrativi, makers e artigiani, promozione di associazioni o realtà commerciali, degustazione di prodotti locali, attività culturali e artistiche e perfino scuole". In zone più lontane dal centro a Saint-Vincent dove abito ci sono negozi da tempo trasformati, non so se seguendo le regole urbanistiche, in alloggi veri e propri. Mi domando spesso sé questa modellistica possa avere un suo perché, naturalmente in un modo statuito per evitare un selvaggio modo a macchia di leopardo. Trovo in giro letture interessanti su questa storia di "rigenerazione urbana" e sarebbe un bel patto da stipulare tra i professionisti del settore e le Amministrazioni comunali (e la nostra Regione autonoma), usando la leva della fiscalità e delle incentivazioni. La battaglia contro lo squallore di certe vie con negozi sbarrati e vetrine oscurate è da combattere nel nome del decoro e della bellezza, ma anche come leva per l'economia locale. Idem per la selva di capannoni sfittì e cadenti per non dire delle fabbriche abbandonate, compresi certi immobili pubblici dell'area "Cogne", da quelli storici a quelli costruiti anni fa con fondi comunitari che sono una desolazione con vuoti clamorosi e manutenzioni da Paese "in via di sviluppo".