Uno dei segni sicuri del passare del tempo è quando ci si attarda a guardare i manifesti funebri affissi sui muri. Si incomincia, a partire da una certa età, a prendere la misura non solo più del tempo trascorso ma anche di quello che resta. Pur sapendo come l'imponderabile purtroppo non abbia età. Intanto attorno a te ti accorgi di quante persone se ne siano andate: familiari amati, amici fidati, conoscenti di diverso livello. Tanti vuoti. Capisco ora sempre di più quando mio papà ultraottantenne, ormai molto sofferente, mi chiedeva furtivo di avvicinarmi perché mia mamma non sentisse e mi diceva: «Sono tutti morti i miei fratelli e sorelle e quasi tutti i miei amici...». Ci pensavo in queste ore con la morte del mio ultimo zio in vita. Si chiamava Pino Zucchetti ed aveva 94 anni.
Ancora pochi giorni fa lo avevo sentito al telefono per una casualità e mi aveva detto - facendomi sorridere per ma tenerezza - «ciao, Lucianino», come mi chiamavano da bambino. Era giunto in Valle a Pont-Saint-Martin dalla Lombardia per lavorare all'"Ilssa Viola" e lì aveva fatto la gavetta sino a diventare il direttore dello stabilimento siderurgico. Era a Pont che aveva conosciuto mia zia Agostina in un contesto di una storia bizzarra che racconta di come le tre belle sorelle Timo di Imperia fossero finite in Valle. La prima, Floriana, venne a fare la maestrina e conobbe il veterinario Ulrico Masini. Seguì a ruota mia mamma, Brunilde, che incontrò - venendo a trovare la sorella - mio papà, veterinario anche lui. E infine fu Agostina a conoscere Pino, giovane perito in carriera. Dalle sorelle nacquero cinque maschi: una banda di cugini, che - specie d'estate nella casa del nonno a Castelvecchio di Oneglia - ne fecero (facemmo...) di cotte e di crude. Così come i miei e i miei zii vissero - e noi con loro - quegli anni impagabili del dopoguerra fra vicende familiari, affermazioni professionali, gioie e dolori che condividemmo in una logica di clan fra alti e bassi come avviene in tutte le famiglie negli intrighi di parentela. Ho delle foto d'epoca che meglio di tante parole mostrano l'aria dei tempi e che, passando di mano in mano, perderanno purtroppo di significato. Poi, fra cugini, ognuno ha seguito la sua strada e piano piano i rapporti si sono affievoliti e solo certi momenti di feste comandate ci hanno visti assieme subito in sintonia. E' il ritmo della vita, dalle nascite alle morti attraverso battesimi, comunioni e altre circostanze, che scandisce il tempo a nostra disposizione. Il paradosso vuole che il giorno dei funerali di zio Pino ci sia la laurea di mia figlia Eugénie: storie che si incrociano, come passaggi di testimone fra generazioni. Vorrei aggiungere e annotare un giusto e terribile rimpianto di mio zio, uomo pragmatico e buono, molto sagace e grande osservatore. Era per lui impensabile, frutto di sconcerto e di dispiacere, che dopo la chiusura della "sua" fabbrica si fosse proceduto a radere al suolo tutto quanto, eredità di una lunga attività siderurgica all'ingresso della Valle d'Aosta. Oggi quanto avvenuto agli inizi degli anni Novanta sarebbe impensabile: si salvaguarderebbe sicuramente qualche segno di quella archeologia industriale, testimonianza di uno stabilimento che segnò ritmi e vite di un paese intero. Per altro chiuso brutalmente negli anni in cui l'Europa dava soldi ai proprietari di aziende siderurgiche in caso di chiusura contro la crisi del settore. Eppure quando capitava di parlare dei suoi anni di fabbrica zio Pino si illuminava: era stato formato ad un'etica del lavoro che oggi non sempre viene capita. Con lui se ne va, in questa storia del tempo che passa e gli affetti che ci lasciano raggiungendo chi già se n'era andato, un pezzo della mia vita. In questo caso zio Pino avrà ritrovato mio cugino Franco, morto troppo presto, e mi immagino il loro lungo, commosso abbraccio ed il tempo che avranno per coltivare i loro, che sono anche i nostri ricordi di famiglie che, pur allontanandosi come mostrano gli alberi genealogici, hanno disperso quei semi meravigliosi che sono i rispettivi figli.