Raramente parlo qui del mio lavoro quotidiano sui palinsesti delle trasmissioni radiotelevisive dei Programmi della "Rai Valle d'Aosta". Questo blog ha caratteristiche diverse e non mischio, se non incidentalmente, la mia attività quotidiana con quanto annoto qui ogni giorno. Questa volta faccio un'eccezione, nel quadro di queste recenti polemiche sulla morte di Émile Chanoux, comparse ed animate sulla pagina locale de "La Stampa" e che saranno destinate a spegnersi non per la sostanza dei confronti in atto, ma perché appaiono discussioni autoreferenziali in un clima - questa è la verità - di sostanziale disinteresse della maggioranza dell'opinione pubblica più interessata dalla cronaca che dalla storia.
Tralascio in partenza il parallelo improprio e persino offensivo che qualcuno ha fatto, fra il notaio valdostano - esponente di spicco della Resistenza al momento della morte nel maggio del 1944 - ed il povero Stefano Cucchi, giovane dalla vita balorda ucciso di botte dai Carabinieri nel 2009. Non si mischiano storie così diverse, pena una effetto distorcente su due drammi con storie proprie. Tornando alla questione: vi è una ricostruzione della morte del notaio Chanoux di Patrizio Vichi in un documentario e poi in un libro, e rivendico di avere sin da subito dato il mio assenso alla messa in onda sulla televisione pubblica regionale di un suo filmato (Vichi sconta forse il fatto di non essere considerato storico in senso accademico), che ribadisce come l'ipotesi del suicidio, emersa dal processo farsa del dopoguerra, non reggesse e che la tesi unica resti a tutt'oggi quella dell'omicidio. C'è chi, anche nell'occasione, sostiene per contro che si fosse trattato di suicidio, ad esempio Elio Riccarand, che mi pare sconti - ad attizzare certi animi sulla sua posizione - anche il fatto contingente di essere tornato sulla scena politica con un ruolo più forte del peso proporzionale del suo gruppo politico in Consiglio Valle, a causa di maggioranze regionali che stanno in piedi per un voto.< Ma torniamo al punto. Fatto salvo il fatto che ucciso o suicida non muta per nulla la sostanza dell'eroismo di Chanoux nella sua scelta di mantenere il silenzio su quanto sapeva e gli veniva richiesto dai fascisti che lo interrogavano. Nella mia famiglia, amica di Chanoux, ho sempre solo sentito parlare di uccisione e non di suicidio. Lo ha sempre detto mio zio Séverin, erede del suo pensiero quando in Valle nel dopoguerra la figura del martire valdostano non faceva l'unanimità come oggi. Ed oggi molti lo fanno per retorica e conformismo, magari del tutto digiuni del pensiero chanousiano, che va sempre contestualizzato al periodo storico in cui scrisse, anche se nessuno può negare in lui capacità di analisi anche nella proiezione verso quel futuro che non ebbe, stroncato come fu a soli 38 anni. Chanoux mi è stato descritto da mio papà come un uomo semplice, intelligente e razionale, che aborriva da buon montanaro e da homme cultivé quella retorica fascista che, non solo con i suoi orpelli, ma anche con il volto feroce del Regime, aveva deciso di strangolare la libertà e l'identità del popolo valdostano. E lui, capendo da subito il concentrato di violenza del fascismo, non solo si era ribellato e aveva avuto un ruolo eminente nell'antifascismo, ma aveva posto sotto la sua ala e il suo magistero tanti giovani, guardando al di là del periodo triste e scuro che vivevano allora. Ciò dimostra come esistano delle persone che sanno lanciare messaggi, oltre la propria vita e lo facciano con una visione profetica, che consente al suo pensiero - mutatis mutandis - non solo di essere prezioso nella contestualizzazione dei suoi anni, ma anche e appunto per la freschezza che ancora mantiene su punti nevralgici nella modernità. Personalmente l'ho ricordato in occasioni ufficiali alla Camera dei deputati ed al Parlamento europeo ed in tante altre circostanze ufficiali, trattandosi di un patrimonio non solo dei valdostani, ma del pensiero politico. Chanoux non è adoperabile da tutti senza "se" e senza "ma", pena uno stravolgimento della sua stessa personalità. Nessuno pretende primogeniture su di un personaggio storico, ma chi professa idee e comportamenti stridenti od abbia amicizia in campi che Chanoux avversò con la sua azione a costo della vita dovrebbe quantomeno astenersi. Ho già scritto in passato come, in un dialogo immaginario, credo che lo stesso Chanoux ci direbbe che avrebbe preferito evitare di diventare un simbolo, a causa della sua morte e risurrezione morale come esempio per la "causa valdostana", per vivere con la sua famiglia e contribuire con la sua forza alle vicende appassionanti del dopoguerra. Invece morì da solo in una cella, senza aver svelato i segreti che i suoi torturatori volevano estorcergli. Sempre mio padre mi raccontò di come cercò di vedere la sua salma in cimitero, ma il vecchio Camandona delle pompe funebri, in piemontese, gli disse di andarsene, che rischiava la pelle anche solo a trovarsi lì. Immagino il suo batticuore. Chi pensava di fare tacere Chanoux per sempre è stato inghiottito dal tempo, compresi i suoi carnefici, ma purtroppo quel fascismo che aveva fatto proseliti anche in Valle d'Aosta rimette fuori la testa come un'idra. Chanoux resta con la sua personalità e con i suoi insegnamenti, specie quel federalismo che attraversa il tempo quale soluzione alle tante crisi, anzitutto istituzionali, che ci attanagliano e talvolta paralizzano. Si tratta, in certi frangenti, di lasciarlo in santa pace.